Tabù nr. 2 – versione breve

Mi dibatto tra appunti da anni ormai, quindi adesso vi beccate almeno due post sullo stesso tema.
Buona lettura e tanta allegria, mi raccomando!

Tabù nr. 2: della morte e del morire per il malato di cancro

Avere il cancro, in particolare un cancro curabile, ma non ancora guaribile, significa affrontare con una certa maggiore centralità di prospettiva la propria concreta finitezza nel tempo, ovvero la morte.
Morire tuttavia è l’unica parola che il malato di cancro non potrà utilizzare MAI. L’atto di morire sarà l’unico gesto che il malato di cancro dovrà fingere di ignorare, mentre si sottopone a ogni tipo di vessazione medica per evitare l’eventualità appunto di tirare le sue simpatiche cuoia una volta per tutte. Ma dovrà farlo con l’apparente agilità di uno che sta lì perché quest’anno non aveva  un piano ferie alternativo, non certo perché non ha scelta.
Il malato pieno di vigore, anche solo psicologico, che, consapevole di tutta la sua situazione, non intende passare la giornata a piangersi addosso, verrà considerato uno che forse non ha ben capito, povero cuore. Il malato debilitato dalle cure che comincerà a farsi domande sulla morte, propria, religiosa, filosofica e concreta, verrà invitato a fare finta di niente, perché se pensi alla morte, ti butti giù e, soprattutto, muori sicuramente prima. E peggio.
Fare battute sulla propria morte è permesso solo a quei pochi fortunati esseri umani dotati di sincera e intelligente ironia, circondati da cari dotati di ancora maggiore sincera e intelligente ironia. Altrimenti è di cattivo gusto. O troppo doloroso per chi ci ama, nella maggior parte dei casi.
Avere il cancro e pensare alla morte, senza il conforto di poterlo fare in compagnia, buttandola pure in vacca di tanto in tanto perché ridere aiuta, è una delle cose più tristi che tocca vivere a chi si è ammalato, credetemi.
Per fortuna i malati di cancro sono gente intimamente perfida, si sa, e aprono blog come piovesse, così da allietare tutti gli incauti passanti su ogni tipo di terrore, tremore, paura, nera allegria, vogliosa malinconia vitale e infinita meraviglia legata alla propria esistenza e a quella che si teme, ci si immagina, si attende, si pensa, ci si interroga che sarà la propria dignitosa (speriamo) morte.
Perché, per fortuna, nessuno come un malato di cancro sa che vivere è molto più importante che avere paura.
 
 

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20 pensieri su “Tabù nr. 2 – versione breve

  1. C'è anche chi mi ha detto che ci sto facendo dell'ironia sopra per evitare di pensarci. Niente di più ridicolo. Ci penso eccome. Come fare diversamente? Non mi sono mica beccata un raffreddore…E' che a volte sentire un malato di cancro che parla di morte fa più male agli altri che a chi lo vive.  Per questo non ne puoi mai parlare con nessuno. E non credo che agli altri spaventi la TUA morte, ma l'idea che ahimè, può capitare a chiunque, anche a chi ti ascolta.
    Si, ci penso alla mia morte, ci penso e mi addolora non poterne parlare. Quando parli di morte ti si crea il vuoto attorno, come se avessi lanciato una bomba H, e allora eviti, per non fare del male. Questo mi succede. Ma chi pensa che tu non ne parli perchè non ti rendi conto bene di quello che ti è piombato addosso e del rischio che corri, e non perchè desideri VIVERE ancora a lettere maiuscole per tutto il tempo che ti è concesso ancora, non ha mia riflettuto a fondo sulla sua propria personale dipartita, o non gli è ancora capitato di farlo. Perchè se ci rifletti veramente non ti lasci trascinare da lei, ma ti aggrappi alla vita con le unghie e con i denti, e sulla vita ti fai forza.
    E' il mio pensiero.

  2. non ho tempo di fare un lungo commento, debbo portare la Tata ad un laboratorio di lettura animata, ma ti dico che rimangono tutti spiazzati quando dico che voglio sapere tutto per sapere di che morte morire…

  3. L'ironia è importante… pochi pero' la capiscono e dall'essere ironico passi per il cinico.
    In casa coi miei parliamo spesso di morte….forse perche' ho un papa' cardiopatico che ci ha fatto prendere mille e mille spaventi e quindi abbiamo la consapevolezza che forse è meglio parlarne prima piuttosto che non averne parlato mai.
    Lui ha gia' dato tutte le sue direttive per il suo ultimo viaggio.
    Se morisse in ospedale vorrebbe comunque tornare a casa e non dimentichero' mai lo sguardo dell'infermiera che un giorno al pronto soccorso mi ha sentito dire (per convincerlo a farsi ricoverare) "papi non ti preoccupare… se muori ti porto a casa e non ti lascio all'obitorio".
    Chissa' cosa ha pensato quella donna…. io so solo che al mio babbo in quel momento ho strappato un sorriso 🙂

  4. Mio padre, quando avevo non più di 10 anni ha avuto una piccola TIA.  Ripetutasi verso i miei 16 anni. Per fortuna, quello, non ha lasciato strascichi nel tempo. Però: è diventato cardiopatico, con un’angioplastica all’attivo fatta nel 2001, scoprendo con un esame che aveva un’arteria occlusa a più del 90% e non si sa come, ma per fortuna  niente infarto. Prende pastiglie per il cuore, la pressione, la glicemia, il colesterolo e sicuramente ne ho dimenticata qualcuna (sono 10 al giorno tra tutto).
    Il timore per la sua morte l’ho avuto: per anni mi sono chiesta se ci sarebbe stato ad accompagnarmi all’altare il giorno delle mie nozze. E c’è stato.
    Quando mi chiedo se mio figlio lo conoscerà sul serio, se riuscirà a vederlo, a insegnargli il dialetto brianzolo e i nomi delle piante, non so dare una risposta. E ammetto che mi viene un po’ da piangere (ma credo siano gli ormoni)
    Non è cancro, ma è sempre una situazione in bilico sospesa a mezz’aria e ammetto di non averne mai parlato più di tanto con lui, anche se non sono mai scappata quando ha cercato di parlare dei suoi timori, ultimo l’altro giorno, quando lamentandosi per il numero elevato di farmaci che assume, mi ha detto “ho il terrore che prima o poi il fegato mi abbandoni”.
    Il non parlarne in casa però e il non riuscire a parlarne fuori (odio la commiserazione della gente), mi ha trasformata in quell’Orsa che ero prima che il mio Orso riuscisse a tirar fuori i miei sentimenti, per poi venirne investito come da un treno, dato che non gli era mai capitato di avvicinarsi alla “malattia”.
    E’ vero sai, non parlarne non è la cura. E parlarne fa così male… perché subentra l’egoistico “non ti avrò più”… Però io credo nella divulgazione! Vedi, ogni malato è a se, ma leggendo tutte voi (o quasi), ho imparato un po’ di cose che tutti avete in comune e nei casi di gente vicina, ho saputo come comportarmi! E ora so, che se uscirà l’argomento morte, non glisserò ne mi nasconderò, ma eviscererò il problema.
    O almeno ci proverò!
    Grazie di aprirti così J
    OrsaLè + 1

  5. Mi lasci senza fiato. Per cui sto in silenzio, questa volta.
    Dal basso della mia vigliaccheria acuta da depressa del cavolo, quale io sono.

    In ogni caso occorre parlarne. Sempre, e ridendoci molto, se possibile. E molto piangendo, quando se ne ha voglia. Non credo sia negatività. E' che uno è umano, ed è giusto anche avere paura. Eccheccazzo.
     

  6. mah, le risate che ci siamo fatti in famiglia, con le barzellette macabre di mio fratello e con pochi parenti scelti restano tra i miei piu bei ricordi.

    E così spero dei partecipanti al mio funerale.

    Brava ad averlo tirato fuori il discorso.

    Mammamsterdam

  7. Cara, carissima wide, che coraggio…sesso, morte…i tabù più tabù della nostra società spaventata e veloce, immortale e cieca!! Come condivido con te tutte le tue parole!
    Forse se ci abituassimo di più a parlarne, di questa morte che tutti ci aspetta e non sappiamo quando, non sappiamo dove, forse, vivremmo tutti meglio, meno struzzi, meno miopi, meno ipocriti con noi stessi.
    Non è permesso morire, hai ragione.
    Ai bambini si negano i funerali, i malati non devono ipotizzare, neppure immaginare. Guai a parlarne, di questo argomento truce, buio, triste. Guai.
    La sola morte plausibile è quella televisiva e filmica, una morte-finzione. Le lacrime vengono tollerate nei cinema, ma non negli ospedali. Perchè nessuno muore. E nessuno deve parlare della morte, propria o altrui. La morte dev'essere veloce. Veloce per il malato, per chi rimane e che in fretta deve superare. Perchè se non supera diventa patologico.

    La persona con cui parlo più spesso di morte è mio nonno. Ha 80 anni e sta sistemando tutto per andarsene. Quando accenna all'argomento viene zittito dalla moglie, mia nonna. Non bisogna neppure pensarci alla morte! Eppure quanto lo vedo sereno quando finalmente ha trovato in me qualcuno che non scappasse alla sua necessità di parlarne? Abbiamo definito i dettagli del suo funerale. Mi ha lasciato il suo testamento orale emozionale. Mi ha affidato mia nonna e il suo laboratorio di sartoria.

    E che poi, che poi.
    Mi chiedo perchè si pensa che tu, Wide, che hai il cancro, debba pensare più di me, che non ce l'ho, alla morte. Perchè i malati forse sentono più vicina la possibilità di morire, mentre chi è sano è indotto a non pensarci, a non prenderla in considerazione.
    Moriremo tutti, invece, siamo tutti terminali. Abbiamo una scadenza sconosciuta. Che potrebbe essere tra 80 anni, se va di lusso, o tra poche ore, se capitasse. Perchè rimuoverlo? Perchè vestire la morte di un vestito che non le compete, di paura?
    Ecco. Quando dico queste cose vengo tacciata di pessimismo, amore per il macabro, torbidità e morbosità.
    Sarebbe bella una società dove un giovane sano possa parlare della propria morte senza incutere timore e senza apparire strano. E sarebbe bella una società in cui i malati trovassero persone serene e non spaventate per parlare della più o meno imminente fine, per ipotizzarla, razionalizzarla, accettarla e addomesticarla. Per parlare della propria finitezza, e di quella di ognuno di noi.
    Viviamo come se fossimo eterni. E credo che una consapevolezza della morte permetterebbe a ogni uomo di vivere in modo più ancorato alla realtà. Permetterebbe di riposizionare le priorità, i tempi e gli spazi. Se pensassimo più spesso che duriamo un niente, forse saremmo più attenti a spendere bene questo "niente".

    Cara Wide, credo che come te, come Obi, come mio nonno, ce ne siano tanti altri, persone in grado di gestire questi discorsi, da non venirne sopraffatti, da ascoltarli come parte delle cose di cui si possa parlare serenamente e solidamente.
    E penso anche che tanto stia anche a noi, chi di questi discorsi non ha paura, "istruire" ad una cultura che non veda la morte come spauracchio dal quale nascondersi ma piuttosto come termine di una corsa, termine che ci accomuna tutti e che presto o tardi tutti dovremo conoscere. E che non per forza debba significare fine e nulla, ma che può ipotizzare infinite possibilità.

    E ora finisco questo commento sconclusionato, ti abbraccio, e torno a studiare.
    F.

  8. @tutti: ho risposto in parte nei commenti all'altro post. aggiungo solo che ti avevo riconosciuta mantiduzza, e che sono con te su tutta la linea, e forse ci sarei stata anche prima delle mie vicende. diciamo che la consapevolezza che esistono altre culture, aiuta molto. così come, sarò banale, ma aver studiato un po' di filosofia (questo è uno dei primi pensieri confusi che ho fatto dopo la diagnosi, la sensazione che una buona cultura religiosa – anche se non sono più credente – e aver qualche nozione di storia della filosofia, veramente aiuta. così come le buone letture. il sapere, anche solo con l'immaginazione, rende più accoglienti verso le avventure della vita.)
    aggiungo che anche io ho avuto una surreale e meravigliosa conversazione sulla morte con mia nonna lo scorso natale. parlando lei si deve essere scordata che ero sua nipote e io sapevo che non l'avrei spaventata, e così abbiamo condiviso alcune riflessioni, ma in maniera assolutamente positiva, lo dico sinceramente, e che mi hanno arricchito nella relazione con lei. è stato bellissimo.
    e mammasterdam, mi fa piacere sapere che non siamo soli a saper spendere qualche sincera risata anche su quello che può strapparci il cuore. (e, ma questo è un segreto, anche io mi immagino un funerale a suon di marcette ridicole ;))

  9. Wide, ti lascio un commento unico che si riferisce agli ultimi due post.
    Sei meravigliosa.
    Hai detto tutto quello che si poteva dire e condivido tutto.
    La morte fa invariabilmente parte della vita del malato di cancro.
    Magari non siamo noi a dovercene andare, ma lo fanno tante e tante persone intorno a noi, persone che vediamo ogni volta in ospedale, ogni settimana. Persone che magari conosciamo poco, ma con le quali si condivide un'esperienza fortissima.
    E ogni volta che loro se ne vanno, una parte di noi li segue…
    E'difficile relazionarsi con la morte.
    Mia madre, non più di due settimane prima di morire, sapendo che ben presto sarebbe entrata in coma o comunque avrebbero iniziato ad imbottirla di morfina, organizzò in clinica una festa con noi di casa e le sue amiche.
    Prenotò una saletta della clinica, ordinò la pizza per tutti e diede veramente spettacolo. All'epoca era sulla sedia a rotelle, portava il pannolone e aveva la flebo costantemente attaccata al braccio.
    Eppure ha fatto festa perchè sapeva che non le restava molto tempo. Lo sapeva perfettamente.
    Quando siamo uscite, le sue amiche continuavano a ridere delle sue battute, una parte di loro forse si era persino dimenticata che stava morendo, cosa che poi accadde pochi giorni dopo.
    Ecco, questo suo gesto è stato l'insegnamento più grande che mi abbia mai dato.

  10. ciao grande wide. belli questi post. posso dirlo, "belli"?
    sono centrali e centrati, davvero. più che leggerti, ti bevo. e poi: certo che si può parlare di morte. non con tutti magari: ma trovo normale anche questo, come è normale – anche da malati – non parlarne sempre o non pensarci sempre (e ci mancherebbe…). comunque grazie. e un forte abbraccio
    erounabravamamma

  11. Ho letto d'un fiato tutti e due i post, un argomento che hai affrontato con una lucidità ed una capacità di analisi anche ironica quasi incredibile.

    Mi hai fatto tornare alla mente la sensazione di quando facevo la chemioterapia, e pensavo sto lottando così tanto per vivere, stando tanto male, che "assurdamente" mi sentivo quasi al riparo da qualsiasi altra morte accidentale che potrebbe capitare a chiunque, come un incidente e avevo la convinzione che se doveva essere sarebbe stato solo per cancro. E forse in breve tempo.

    Però forse per la mia infanzia non bellissima, e poi per l'immaginario dark (comprensivo di cimiteri) che ha sempre accompagnato la mia vita non ho avuto quel rifiuto di parlarne che quasi tutte le persone invece hanno e che non vogliono neanche immaginare che un giorno dovranno morire.

    Tornando aiu tuoi post, arrivare a vedere le cose come hai fatto tu in questo post è…da donna speciale come sei tu. Sei una grande donna.
    E sono convinta che questi tuoi scritti andrebbero in un libro…

  12. @tutti: scusate se sono senza parole e non mi metto a rispondere uno per uno, ci sono troppi argomenti e troppo importanti da liquidare con facilità. ogni cosa che avete scritto è una storia importante che mi porterò dentro d'ora in poi, ma non so se riuscite a comprendere quanto le vostre storie, quelle raccontate in forma più estesa, così come le impressioni appena accennate, ecco spero sappiate quanto tutto questo dia senso al motivo per cui ho aperto on the widepeak.
    per mia, quanto parlavo delle rare anime illuminate che sanno ridere della morte, pensavo alla tua Maria e a te, ovviamente, devi essere orgogliosa di aver saputo comunicare a tutti noi i suoi luminosi ultimi giorni, davvero.
    a camden che mi dice che questi post andrebbero in un libro, il libro lo abbiamo proprio qui e lo stiamo scrivendo insieme.
    ai nuovi commentatori qui o di là che hanno avuto il coraggio di parlare di questo tabù, che è anche qualcosa di più di un tabù, in un blog che nemmeno conoscevano tanto bene, grazie grazie grazie della fiducia, credetemi non è stata mal riposta

  13. Quando mia mamma si è ammalata di cancro al seno, nove anni fa, all'inizio i medici le avevano dato poche possibilità di sopravvivenza. Io avevo 22 anni, mia sorella 17. Il modo in cui mia mamma (che di solito non è una persona ironica e non usa mai il senso dell'umorismo) ha reagito è stato di riderci sempre su, non capisco se sia stata una reazione spontanea sua o se è stata trascinata da mio padre, che è ironico di natura e cercava di darle/darci forza in questo modo. Quindi io del cancro di mia mamma ricordo più che altro delle gran risate a tavola. E i pianti tremendi e silenziosi miei e di mia sorella di notte o perfino (io) sull'autobus mentre andavo all'università (visto che in casa non potevo piangere). Intanto mia mamma veniva operata, faceva la chemio che la riduceva lo straccio che sai, aveva una leucopenia che sembrava che se non moriva per il tumore poteva morire anche solo per un raffreddore qualsiasi, veniva rioperata, vomitava eccetera. Quindi sembrava o era moribonda ma "bisognava" ridere. Io della morte ho provato tante volte a parlarne in modo serio, in quegli anni, ero terrorizzata dall'idea che lei potesse morire mentre si rideva e si scherzava senza poter elaborare niente, i figli non sono stupidi, capiscono tutto e hanno bisogno di poter dar voce alle paure di perdere il genitore, ma poi ho anche pensato che la malata era lei e se lei voleva comportarsi così forse aveva bisogno di questo, quindi ho messo da parte il mio disagio (idem mia sorella adolescente) e l'ho assecondata. Alla fine, per fortuna, ce l'ha fatta. Però io è come se dentro me fossi rimasta "arrabbiata" perché questo suo ridere ci allontanava nel momento maggiore del suo bisogno. Probabilmente lo ha fatto per noi, per non farci preoccupare, non gliene faccio certo una colpa e non dico che un malato debba star sempre a piangere, che tanto non serve a niente. Però a volte anche sui blog, questo dover fare i bulli e i forti a tutti i costi anche quando si è sotto chemio e si rischia la morte, fa davvero bene? Quando l'anno scorso è morta di cancro mia nonna, è stato tutto diverso: non si rideva né si stava sempre a piangere. Si stava calmi e lenti. E mia nonna se n'è andata consapevole e con noi consapevoli e più sereni che non se avessimo riso sempre. La cosa che ricordo con più serenità, nel cancro di mia mamma, è questa: ogni sera, a cena, lei ci raccontava a puntate la sua vita, partendo dall'infanzia. Senza ridere e senza fare l'ironica… quello era il momento più intenso di tutto, perché da figlia capivo che se ci raccontava la sua vita era perché, se fosse morta, avremmo conosciuto tutto di lei e ne avremmo parlato ai nostri futuri figli. Questo era l'unico momento in cui finalmente potevamo elaborare implicitamente quel che stava accadendo e permettere al nostro povero cervello sempre surriscaldato dal "facciamo gli allegroni a tutti i costi" di accedere alla paura della morte, ed è stata la cosa più preziosa di tutte, anche valutandola sulla lunga durata. Scusa la lunghezza ma è difficile sintetizzare certe cose!

  14. @flalia: grazie cara del tuo commento e della tua storia, come vedi qui abbiamo tutti molto da dire e anche cose molto diverse e sono veramente grata anche di questa tua visione della questione, non sai quanto anzi. visto che ogni tanto penso che se arrivo fino alla fine dei 15 anni da statistica le mie figlie saranno proprio adolescenti e quell'età, così delicata, mi spaventa tanto. ma qui sui blog non facciamo i bulli. qui si vive facendo una chemio a settimana da 3 anni e andando a fare la spesa subito dopo, passando le ore ad ascoltare le lamentele sempre più frequenti delle mamme e delle nonne sempre più anziane, correggendo compiti, preparando progetti di lavoro, etc etc. non credo sia un approccio "negazionista" cioè "faccio finta di niente, cioè ci rido perché fa meno paura così". no, quello che volevo dire qui era proprio che per me la morte è una parte importante sempre di più della mia vita e fare finta che non sia così è una vera violenza. la morte c'è, esiste, e io ne ho preso coscienza diretta sulla mia vita. dopo che, peraltro, a dieci anni ho perso mio padre improvvisamente e ho dovuto vivere con le conseguenze emotive e concrete di quell'assenza improvvisa in maniera indiretta.
    ognuno di noi reagisce come può e come sa, e la cosa importante è non lasciarsi soli…allo stesso tempo, quando si hanno dei figli piccoli o adolescenti, la responsabilità è doppia e non c'è strada, temo, per farvi soffrire meno, ahimé.
    ma anche il dolore esiste e fare finta che non sia così per ciascuno di noi, e che invece bisogna vivere senza tutta una vita allegri e spensierati sennò si è dei perdenti è la più grossa bugia della nostra cultura.
    grazie davvero per le tue parole, ne farò tesoro
    un abbraccio

  15. Ogni tanto torno e leggo i nuovi commenti.
    Hai fatto proprio centro eh Wide?
    Come per molti Tabù, a volte non se ne parla perchè non se ne ha l'occasione!

    Ti abbraccio.

    OrsALè + 1

  16. ………….La concreta fine del nostro tempo, ovvero la mortee!!!!…E' un evento naturale, inevitabile per tutti!!!!!……………SEMBRA CHE NON SE NE DEBBA PARLARE……..Molti forse non hanno capito che la consapevolezza di dover morire, non e' motivo di piangersi addosso, ma bensi' per acquistare forza!! E godere della vita!! Quante persone ci compatiscono:- OH !" Quanto mi dispiace che ti e' capitato il cancro! Sono convinte di essere indenni; poi magari escono di casa e rimangono sotto una macchina!!!! RIFLETTIAMO GENTE, RIFLETTIAMO!!!!    Un abbraccio grande da ARCOBALENO                P. S. Scusa se ti ho risposto in ritardo; avevo proprio desiderio di dirti che il tuo modo di farci partecipi del tuo vissuto ci commuove e ci aiuta nelle nostre piccole difficolta' GRAZIE!!!!!!      di nuovo ciao da ARCOBALENO!

  17. Sì, è tutto vero….
    Io l'ho imparato con Mirella,una mia collega.
    Lei aveva BISOGNO di parlarne, e non era facile per nessuna delle persone che le volevano bene stare ad ascoltare.
    Perchè non sai che cosa dire….
    E' stato lì che mi sono resa conto che non è necessario dire chissà cosa,anzi spesso è meglio tacere.
    Una parola a volte può essere un'offesa alla intelligenza e alla dignità della persona che hai davanti.E questo vale anche per molte altre malattie.
    Abbiamo passato molti momenti insieme.
    Lei parlava di quello che voleva e io ascoltavo quello che lei aveva voglia di dire
    Poi ci si scambiava ruolo,o anche no….ma andava bene lostesso.
    Un abbraccio

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