Alla larga

Un lutto è un lutto e prende il suo tempo e le sue forme a seconda del tipo di legame che avevamo con la persona che è morta. Non so perché ho questa fortuna, ma in queste notti ho sognato spesso, spessissimo Anna Lisa e le amiche cancer blogger. Evidentemente, anche nel sonno guaritivo mi sono venute incontro le persone che condividono con me il dolore e le paure. So quanto sono fortunata. Mio padre l'ho sognato una volta sola da quando è morto e non so che darei per poterlo sognare ancora, rivederlo almeno lì. Ma non capita mai.
Comunque i miei sono sempre sogni di grande serenità e questo è molto bello. Così piano piano sto meglio. In ogni caso in questo spazio è fondamentale che io possa mettere per iscritto le cose che più mi pesano sulle spalle, ma non crediate che nelle settimane scorse io abbia smesso di prendermi cura di me, della mia famiglia e dei miei amici (come ho potuto). Ieri Nina compiva 7 anni e anche se in maniera più modesta delle passate edizioni abbiamo messo in piedi una bella festicciola con le persone più care. Io ero stanchissima, ma anche abbastanza serena.
La chemio light che sto facendo da 4 settimane sembra avere effetti collaterali ancora contenuti. Poiché si tratta della chemio in pillole che due anni fa mi ha messo in ginocchio, non penso di riuscire ad andare oltre i tre mesi e uno è già passato, ma visto che richiede meno presenze in ospedale, dalla prossima settimana tornerò a lavorare, o almeno ci proverò.
Non prima però di essermi fatta un bel ritiro di meditazione con la persona che ha scritto questo libro. Un libro che consiglio veramente a tutti, o almeno a quelli che hanno voglia veramente di frequentare questo blog, perché qui si parla anche di questo e chi non se la sente, e posso capirlo, può navigare altrove, non voglio offendere la sensibilità di nessuno, ci mancherebbe. Per chi non se la sente, state alla larga da questa montagna. Su questa montagna noi le paure ci piace chiamarle per nome e guardarle negli occhi. Anche se ci fanno paura.
Specie quando ci fanno paura.

Blogterapia

Blog: E allora dimmi, come ti senti?
Io: Mi sento triste.
Blog: E' per la morte di Anna Lisa?
Io: Sì. E' per lei, proprio per lei che sono triste, avrei voluto che vivesse più a lungo. E sono tristissima per chi la ama, per il loro dolore che è inevitabile, che deve fare malissimo.
BLog: E?
Io: E sono triste per me. A differenza delle mie amiche cancer blogger, non ho la sindrome del sopravvissuto, ma quella del prossimo in fila. Non morirò molto diversamente da Anna Lisa, lo sappiamo. In questi giorni è stato inevitabile pensarci più del solito.
Blog: E che pensi di fare?
Io: Niente. Tutto. Vivere. Approfittare di questa fase in cui la malattia non mi devasta ancora con una sofferenza continuativa come è stato per l'ultimo anno e mezzo di Anna Lisa. Approfittare di questa fase di pausa in cui mi curo con la chemio in pillole e sono più libera di muovermi.
Cercare di essere migliore. Accidenti, cercare di essere meno una stronza per le mie figlie.
Blog: Conquistare la santità, insomma.
Io: Non prendermi in giro, blog, lo so che potrebbe capitare a tutti di morire con sta cazzo di tegola in testa di cui parlano gli altri quando cerchi di spiegare cosa significa essere me, ma non è facile.
Blog: …
IO:…
Blog: Lo sai come la penso, no?
Io: Lo so.
Blog: E tra l'altro 'sta cosa di approfittare di tutto deve essere molto stancante.
Io: Sfinente. La settimana scorsa ho dormito continuativamente tutto il tempo.
Blog: Ti fa paura morire?
Io: Ma che ne so. Che ne so, veramente? Ma mi fa paura questa sorta di paralisi dell'anima che a volte mi prende.
Blog: Anche per questo sai come la penso
Io: Sì, la pensi come Anna Lisa, lo so. Pensi che la devo piantare di menarmela e darmi da fare a vivere e a godermi ogni felicità.
Aveva ragione. Aveva ragione.
Aveva ragione lei e anche un'altra amica che ho perso questa estate.
Mi hanno detto pià volte, più volte mi hanno fatto capire di non perdere tempo per le sciocchezze, per le cose che mi fanno arrabbiare che mi fanno stare male.
Blog: E
allora?
Io: E allora, va bene. Mi stavo solo lamentando un po'.
Blog sbadiglia.
Io: Okkei. Ho capito. Provo a farmi passare la tristezza. Ma la sofferenza no.
Blog: Non puoi.
Io: Già. Mi mancherà tantissimo. Mi mancherà tantissimo.
Accidenti a me, mi mancherà veramente tanto.
….
Blog: Sai che potresti fare ora? Potresti metterti il grembiule e cucinare qualcosa per le tue figlie, così quando le vai a prendere all'uscita di scuola hai già pronta la merenda.
Io: Voglio rimettermi a dormire.
Blog: No dammi retta, fai qualcos'altro oggi. Magari stasera vai a letto prima, ma adesso mettiti a fare qualcosa per qualcun altro.
Io: Ok. Ci provo.
Ti voglio bene blog. A volte mi sento così sola.
Blog: Lo so. Ma non è mai vero.
Io: Sei fastidioso lo sai?
Blog: Può essere, ma intanto ho ragione io. Fila via. C'è tanto da vivere. C'è tanto da fare.

5 anni

La sveglia con i suoni della natura ha squillato da poco, oggi era il turno degli uccelletti. Quando dormiamo insieme perché Obi è via per lavoro la sera prima scegliamo il suono della natura che ci sveglierà la mattina dopo. Stamattina era il turno degli uccelletti. Nina non se ne accorge, mentre Lilla comincia a muoversi. Io le do una carezza:
"Buon compleanno, amore mio"
"Grazie mamma" fa Lilla.
"Grazie a te di essere nata e di averci reso tutti ancora più felici da 5 anni".
Silenzio morbido e scuro, entrambe vorremmo restare ancora a dormire.
Nina russicchia.
"Sai mamma – fa Lilla nel buio accanto a me- quando Nonna E. morirà, Nonna T. sarà la più triste".
"Perché?" chiedo.
"Perché è sua figlia"
Volevo dire: Perché ti viene in mente adesso? forse lo dico anche, ma Lilla prosegue:
"Anche a me dispiacerà, ma a Nonna T. dispiacerà di più"
E poi, perché Lilla non molla mai: "Chissà come morirà Nonna E."
E io, un filino impaziente e piuttosto sveglia ormai: "Morirà felice, perché avrà vissuto tanti anni molto belli e le vogliamo tutti bene"
Ma Lilla, sicura, "Magari morirà come Oogway, sotto l'albero di pesco".
Nonna E. è mia nonna, la madre di mia madre, Nonna T. per l'appunto.
Nonna E. è una tenace ottantottenne che è la mia migliore assicurazione sul futuro, se solo solo ho ereditato un paio di geni suoi, con tutto quello che ha combinato lei, io ho buone speranze di scavallare ancora qualche decennio. Peraltro è ancora discretamente in forma, tutto considerato. Ed è la madrina di Lilla, e si vogliono benissimo, ma è anche piuttosto superstiziosa, per cui non le riferirò questa toccante conversazione.
In ogni caso, questo è il primo pensiero della mia piccola meravigliosa figlietta la mattina del suo quinto compleanno
. E allora tanti auguri piccolo fiore, te li faccio con le parole di Maestro Oogway (e di qualcun altro prima di lui).

Evidentemente

In un bar oggi pomeriggio, alle 14.20, dove mi sono rifugiata dal caldo torrido e schifoso che fa in questi giorni e che io avverto come l'ultima delle 90enni lamentose, insieme a Lilla che esce a quest'ora da scuola per questa settimana, mentre lei è attaccata a un ghiacciolo per riprendersi, io chiedo un tè freddo prima di affrontare la pur breve strada verso casa. Mi versano una buonissima miscela di frutti di bosco vari, fredda, ottima. Chiedo la ricetta, acquisto la miscela con piacere per farmelo anche io.
E mentre mi prepara il sacchettino con la tisana, il barista mi fa: "Perché poi, signò, 'sti frutti rossi, 'ste bacche qua, fanno bene, tengono lontane la malattia, quella brutta".
Complice guardo di intesa tra me e lui. Ci siamo capiti.
"No. Non lo vojo manco dì, er nome", aggiunge solenne.
E io penso con allegria: evidentemente mi sono ricresciuti abbastanza i capelli.

All Delighted People

Mi è capitato alcune volte negli ultimi anni di sentire che la cosa migliore da dire in certi casi, o da fare, era di sedersi accanto alle persone a cui volevo essere vicino, in silenzio. Di silenzio ne abbiamo fatto ben poco sabato quando ci siamo viste con Anna Lisa, Romina, Giorgia e Rosie. Avevo  una voglia, anche fisica, di vicinanza che mi sarei messa a palpeggiare le mie belle amichette tutto il tempo (e forse l'ho anche fatto, laida me!), ma domenica quando ci siamo riviste alla Race, io finalmente senza capelli (perché ci voleva il coraggio delle mie amichette per tagliarli finalmente, e far capire alle bimbe, che era ora, che mamma non poteva andare più in giro come un corvo spennacchiato), e magari un po' stanche, in quel rosa pallido che è così raro, così poco necessario, una buffa discriminazione tra discriminati. Beh, invece che camminare, correre o marciare, abbiamo finito per ritrovarci sedute in cerchio sotto i pini dello stadio di Caracalla, ogni tanto parlando, ogni tanto in silenzio. E io avrei voluto che durasse tanto a lungo. Perché non sapevo bene cosa dire, ma volevo proprio essere lì seduta con loro. Accanto ad Anna Lisa che è un miracolo luminoso, lo so che potete immaginarlo da come scrive, ma dovreste vederla. Io che sono una stronza presuntuosa di fondo, penso sempre di essere molto saggia e molto intelligente, ma anche io non posso non vedere, non sentire e non sapere che Anna Lisa ha la vera saggezza del cuore combinata alla finezza di una intelligenza generosa, accogliente e veramente aperta. Lo sapevo anche prima. Ma mi ha confortato sedermi vicino a lei per un po'. E vicino a Rosie, Giorgia  e Romina. E quando sono tornata a casa e poi sono crollata a dormire, mi sono svegliata pensando che ho imparato qualcosa da questi giorni, da queste persone. Ancora una volta. E non c'era sentimento migliore da portare in borsa con me stasera quando partirò per andare al concerto che ho immaginato tre mesi fa. Che poi era già una vita fa e meno male che i biglietti li ho comprati allora, sennò poi mi sarei detta, "ma 'ndo vai messa come stai messa". E invece così non ho scelta, se non andare ed essere felice e cantare a squarciagola canzoni incomprensibili totalmente calva. Ah, quanto è bella la vita con le persone e la musica giusta!

Delle maratone e di altri dettagli

Con Mr. Clint ci siamo fatti una bella chiaccherata oggi. Per fortuna prima di vederci era arrivato anche il famoso dato mancante dell'altro giorno (ah, però, due giorni ci hanno messo stavolta, vedi?) e dunque lo scenario oggi era completo. Mr. Clint lo ha valutato insieme alla dott.ssa di Milano e io cercherò di riassumervelo così:
– il mio tumore è leggermente cambiato, appena appena, ma appena un po' sì e bisognerà tenerne conto;
– i farmaci a mia disposizione con questa situazione restano però gli stessi, sono sempre pochi e anzi di meno, per cui dobbiamo fare della mia cura un piatto di cucina povera, ovvero, utilizzando quello che c'è;
– quello che c'è è una combinazione di un farmaco a cui ho sempre reagito bene, con un farmaco nuovo che il mio tumore non conosce ancora;
– perderò nuovamente i capelli, ovvero tra un mese al massimo sarò di nuovo glabra e un po' più gonfia per il cortisone, la solita gnocca insomma;
– la "nuova" combinazione chemioterapica comincerà venerdì prossimo;
– prima di cominciare la chemio ho bisogno di fare alcuni esami del sangue e anche una tac per capire se in questi due mesi mi sono beccata altre rogne;
– qui vi voglio in piedi in standing ovation per il coraggio che mi c'è voluto: ho chiesto a Mr. Clint se non sia il caso di mettermi sto benedetto port, e lui che era sempre stato contrario, mi ha detto stavolta di sì. siete in piedi? si? ecco, perché per quanto questa cosa serva comunque a me e a salvare le mie vene, non avete idea di quanto io sia codarda e quanto coraggio ci abbia messo a tirare fuori la domanda;
– ho colto l'occasione per fare qualche altra domanda generale a Mr. Clint sull'idea che si è fatto del mio tumore e per quanto la sua risposta non sia motivo di rilassamento e svacco generale, mi ha confortato l'idea di poter considerare l'andamento della mia malattia più vicino a quello che ci vuole per una maratona che non a una gara di velocità. Meglio. Sono sempre stata una pippa in tutte le gare di atletica da ragazza, ma è sulla velocità che ho subito le peggiori umiliazioni.

Conclusioni: sono molto contenta di ritornare a curarmi, come ogni volta, lo ripeto, la fase di definizione della cura è sfinente, molto più che subire ogni tipo di vessazione chimica. Sono contenta di conoscere una parte di farmaco che andrò a fare. Sono contenta di perdere i capelli, perché mi consentirà di parlare alle bambine, come avevo comunque voglia di fare, mettendo davanti a loro un elemento concreto per capire la situazione generale. Sono contenta di rifare una tac, non ero per niente tranquilla a far passare altri mesi senza sapere cosa succede qua dentro. Sono contenta che stiano per cominciare tre mesi in cui so esattamente cosa devo fare.
Ma soprattutto sono contenta di avere davanti due giorni in cui posso liberare la testa da ogni pensiero e posso sentirmi autorizzata a ogni tipo di vandalico shopping terapeutico, aperitivo alcolico, sfrenato utilizzo del giardino e delle mie bimbe. E quando hai davanti due giorni così, con questa primavera profumata che ti circonda, i tre mesi che verranno dopo, verranno dopo e basta.

Com'è andata ieri

Ieri è andata così.
Premessa: i risultati di una biopsia ci mettono 7-15 giorni ad arrivare, massimo 20. Io sono stata buona fino all’altro ieri. Ieri – 20° giorno – ho cominciato a telefonare al reparto dalle 9 di mattina ogni 2 minuti per riuscire a parlare con qualcuno. Ci sono riuscita intorno alle 13. Alle 13 mi dicono: ancora niente. Chiedo spiegazioni. Si correggono, sì i risultati sono arrivati. Possono inviarmeli via fax ma io non ho un fax per cui cerco un fax li richiamo e gli do il numero. Non me lo mandano e il fax chiude per il pranzo. Decidiamo di imbarcarci con Obi e andarceli a prendere all’ospedale in culonia dove mi hanno fatto la biopsia. Arriviamo. Obi resta giù, io salgo. C’è un dottorino che mi dice: ma io le ho fatto il fax! Si, ma troppo tardi. Mi fa vedere il referto. Io ho una botta di lucidità e nel nervoso che dalla mattina mi è montato alle cervella, decido comunque di prendermela calma. Guardo il referto, per favore, guardiamolo insieme dottorino. Cosa significa questo? Lui impallidisce, deve informarmi che ho il cancro. Guarda che lo so che ho il cancro. Se l’era vista bruttissima, poveraccio. E’ gentile, minuscolo, ma gentile, è quello che mi ha tolto il drenaggio con grande accuratezza. Ma è minuscolo. Mi spiega i risultati, mi sembra di capire che ci sia una piccola minuscola variazione. Ma manca un dato. Gli chiedo perché manca questo dato? Forse gli altri escludono questo? No, non è possibile. E’ che va richiesto apposta. Appunto. Il dottorino impallidisce di nuovo. Con me alle calcagna gira per il reparto alla ricerca di un responsabile, che non trova. E’ la sua giornata no. Figurati la mia. Gli chiedo di capire perché manca quel dato. Il poveretto, eroico, si incammina verso il laboratorio (parliamo di edifici distanti) e mi lascia ad aspettare indovinate dove? Davanti a una tv che trasmette cosa? Indovinato. Provo a spegnerla. Non è possibile. Dopo 40 minuti il dottorino torna sudato per la corsa che si è fatto e mi balbetta mortificato che non era stata fatta la richiesta per quel dato. Da chi non è stata fatta? Da chi ha firmato la cartella. Chi è? Non c’è. Perché non l’ha fatta? Deve essersi sbagliato. Intanto Obi è salito a darmi coraggio e insieme andiamo da un suo ex collega che lavora nello stesso ospedale e che fa al telefono quello che il dottorino ha dovuto fare a piedi. Il risultato è lo stesso. Il dato manca, lo dovranno rielaborare (altre 2 settimane?) , ma riesce ad ottenere i risultati dettagliati con le percentuali di mutazione. Sono percentuali risibili. Minime. Inutili. A questo punto io sono talmente addolorata e arrabbiata che non riesco nemmeno a gridare. Ho fatto direttamente un salto nello stato di furia vendicatrice. Decidiamo con Obi di andare al mio ospedale dal bravo vecchio Mr.Clint a portargli questo mozzicone di risultati. E’ sempre meglio di niente, soprattutto considerato che sono 2 mesi 2 che sono senza terapie e non mi era mai capitato, e non lo dico, ma sono giorni che sono molto, molto preoccupata. Andiamo da Mr.Clint e a me mi viene da piangere per il sollievo di riconoscere l’ospedale che è una mia seconda casa, dove le tv ci sono, ma sono sempre spente e le infermiere mi chiedono come sto, e senza ironia, si aspettano che dica bene, perché è bene vedersi. Spiego la situazione a Mr.Clint e lui con la sua calma la raccoglie e decide, sentiamo Milano, vediamo se queste minime percentuali servono a qualcosa oppure no, e poi partiamo con qualche terapia, basta stare fermi. Si fotocopia le mie carte e andando via mi stringe un braccio e mi sorride. Di nuovo mi viene da piangere per il sollievo. Comunque andrà, non sarò di nuovo in balia del caso. Poi entro in macchina e con Obi ci fermiamo a masticare un pezzo di pizza e poi ci fermiamo in macchina per due ore. Mia madre è andata a prendere le nane, noi non siamo in grado. Per due ore restiamo in macchina come su una barca ferma in mezzo alla tempesta. Ci siamo presi il nostro tempo. Ma di questo non ne parlo. E’ nostro. Infine torniamo a casa, mi faccio una doccia per togliermi il dolore di dosso, ma non va via. Poi usciamo per una lezione di meditazione. Non è che ne abbia voglia, ma almeno non dobbiamo occuparci noi delle bambine, ci pensa la babysitter. La giornata finisce in macchina di nuovo, dopo la lezione, a mangiare un altro pezzetto di pizza. Solo che il barbone ubriaco di turno ci prende di mira, e ci comincia a prendere in giro da fuori, finendo per smontarci l’antenna dell’auto che infila nel tergicristallo. Ovviamente è innocuo, e rispetto alla giornata che abbiamo avuto, è un accanimento ridicolo. Ma, diciamocelo, ci sono state giornate migliori. Decisamente migliori.

Tutto il resto è un regalo

Ho un'amica che per me rappresenta uno degli aspetti più dOnnosi della Donna. E' bella, piena, viva. Ha superato una gravissima malattia senza farne parola, dopo che l'avevano data per spacciata diverse volte. Ha amato e ama moltissimo. E' una gran gnocca e ha uno sguardo sul mondo sempre divertito, leggero, sexy e vagamente alcolico.
Non è che vorrei essere come lei, non potrei mai portare quelle scarpe ad esempio, ma lei mi piace un sacco, ecco.
Una volta, un paio di anni fa, ha avuto una storia con un tipo piuttosto più giovane di lei. E quando me l'ha raccontata, ricordo bene che mi ha detto: "questa è una storia bella, mi sta dando tanto, non so che futuro avrà, ma rispetto a tutto, tutto quello che viene è un regalo". Lei lo disse meglio, in maniera più nitida e chiara. Ma a me è rimasto sempre marchiato a fuoco nella mente.
Tutto il resto è un regalo.
Tutto quello che verrà è un regalo.
Buon anno a voi amici miei, mi assento per un po', ma vi auguro esattamente questa saggezza.

La somma

La somma di alcune frasi, delle paure proprie e per gli altri. La somma delle domande.

"Ah perché è possibile fare la chemio così a lungo, adesso?"

Ah, ma stai ancora male? Pensavo, è passato così tanto tempo, pensavo che fosse passata, altrimenti, beh, non conosco mica nessuno che fa la chemio per tre anni".

"Ah, ma tu non stai facendo la chemio, no? è un'altra cosa quella che stai facendo, no? Ah, no? Ah, allora tu la devi fare vita natural durante?"

"Ah, la tac dice che è tutto stabile, ma, insomma! allora devi continuare così, con la chemio ogni settimana?"

Vedete, io non la conosco la risposta. A nessuna di queste domande. Posso solo rispondere con la mia speranza mascherata dalla certezza del minuto che vivo. Ma non lo so per certo. Proprio non lo so. Credo non lo sappia nessuno, nemmeno i medici. Ieri sera mi è montata un'agitazione che raramente ho provato negli ultimi anni. Mi è salita per via di alcune fitte dolorosissime, magari del tutto inventate, frutto di legittime ansie, al fegato. Mi è montata la paura del poco tempo. Mi è salita un'agitazione piena di paura, ho guardato le ciglia di Nina mentre mi raccontava serena di un libro letto con il padre, ho guardato come sono belle le mie bambine, quando dormono, come sono serene sempre. Mi sono agitata perché ho intuito alcune cose, nessuna delle quali particolarmente confortante, ma tutte vere.
E poi queste domande, che si susseguono nei mesi, con poche  variazioni, dalla farmacista dove compro l'aloe (domanda 1), a una conoscenza su facebook (poi rimossa) che voleva una raccomandazione e si stupisce che io non lavori più. ancora. (domanda 2, ma non l'avrei raccomandata comunque, stronza), a una tipa conosciuta 3 anni fa che ha una recidiva ed è tornata a curarsi adesso (domanda 3), a mia madre insofferente, certo non perché non mi voglia bene (domanda 4).
Stamattina mi è salito un tale nervoso, una tale rabbia che non mi conoscevo. E ho capito che è la somma di tutto questo, che porto con me, il fardello tascabile della malattia.
Poi, fortunatamente, nonostante avesse fatto la notte e fosse disfatto, mi sono vista con mr Clint, ci siamo detti cose positive, mi ha prescritto un'erba per disintossicare il simpatico fegato ribelle e mi ha detto che non devo preoccuparmi, che la cura prosegue, che va bene così.
E non sapete quanto ne avessi bisogno oggi, quanto avessi bisogno che nessuno mi chiedesse niente, ma che per una volta, una volta ogni tanto, invece di attendersi di essere tranquillizzato, dicesse a me: stai tranquilla, non preoccuparti.

Chiudo così: una recensione non riesco a farla, ma quando ieri ho riconosciuto nick cave ho pensato che è proprio bello quando le cose, così come le persone, a cui vuoi bene si incontrano. Anche questo è confortante.

Come una funambola

Traccheggiavo, io.
Facevo finta di niente.
Lo avevo ricevuto in mano dall'autrice, con tanto di dedica personalizzata, ma me lo tenevo lì, per dopo.
Per un altro momento.
Per più avanti.
Poi, in questi giorni di intensissima fatica mentale, di ferreo contenimento emotivo, mi ci sono rifugiata dentro, trovando il porto sicuro della comprensione, così come è stato due anni fa quando sono capitata sul suo blog.
Leggendolo ho capito perché non volevo farlo e perché è così bello.
La verità è che non volevo leggerlo questo suo libro, perché vorrei che Giorgia non fosse mai stata malata, e perché voglio che non lo sia mai più. Perché mi viene da piangere ogni volta che riconosco le sofferenze, gli abbattimenti e gli sforzi che ci vogliono ad alzare la testa, nella malattia e nel superamento della malattia. Sono quelli che affronto ogni giorno da tre anni. Ma non sopporto che lo debbano vivere, o che lo abbiano vissuto, quelli a cui voglio bene. Sono egoista. Voglio sta cazzo di malattia tutta per me, che ci volete fare.
Ma Come una funambola è bellissimo, ha quella bellezza discreta della verità e della vita che è fatta di inciampi, di mattine luminose, di capelli che cadono e che ricrescono, di amici che spariscono e di gatte che ci sostengono.
E' bello perché racconta con il semplice scorrere delle pagine che, se non hai paura di avere paura, la vita è un viaggio molto interessante, pieno di persone amabili, pieno di fatiche nobili, di incredibili fortune, e insondabili tristezze. Anche se hai avuto il cancro. Anche se ti è tornato. Anche se devi fare di tutto per non fartelo tornare.
E racconta – e non so in quanti finora lo abbiano saputo fare così bene – che accanto alla chemioterapia, accanto a tutti gli esami diagnostici del caso, quello di cui è fatta la guarigione profonda è l'impegno, a volte per niente facile, di mantenere aperto, vivo, anche polemicamente, il dialogo con il proprio medico, l'impegno a credere che bere l'aloe tutte le mattine può aiutarti (ed è vero che ti aiuta)  e che imparare i passi dell'anatra selvatica non solo non può farti male, ma probabilmente ti aiuterà a rimettere in circolo tutto quello che di buono hai sotto le tue di ali naturali.
Ecco, le ali naturali di Giorgia sono molto grandi, e si dispiegano con forza lungo tutto questo bel libro, tanto che alla fine, ti tirano su con loro.
E, benché in equilibrio precario, da lassù si sta molto meglio, datemi retta. Leggetelo.