In cancrese la chiamano fatigue forse per dargli un'arietta meno sciatta. Ma credetemi è la brava vecchia fiacca, quella fatica e quella pesantezza dell'anima e del corpo chimicamente ingrossato che spesso tornano su, che tu sia in terapia oppure no. Quella sensazione che si fa sentire per assenza di energia. Quella cosa che ti fa lasciar perdere quando pensavi di poter quasi dire: "tiè, come sto meglio oggi, come mi sento in forma oggi, oggi quasi quasi mi compro quel vestito nuovo, immagino le prossime vacanze estive, mi figuro Lilla in prima media e Nina alle superiori".
Lasci perdere, la fiacca ti attanaglia, ti riposi ancora un po', dai un altro morso alla cioccolata che ti circonda, convinta che ti tiri su la pressione, o quanto meno l'umore. Sciabatti intorno ai tuoi pensieri come una portinaia di altri tempi col grembiule unto addosso e senti dappertutto odore di cavolfiore bollito.
Poi per fortuna è ora di uscire e andare a riprendere Nina e Lilla a cui hai promesso niente post-scuola oggi. E appena fuori di casa sei una mamma come tutte, appena un po' più stanca e più tonda delle altre. La fiacca per fortuna si scioglie come neve al sole davanti a un paio di rosee guancette felici.
E per tutto il resto c'è tempo. E adesso è quasi ora, devo andare.
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Ripartiamo
Tze tze
Eppure dovrei saperlo.
Non è che ci si cura solo con le medicine, con la chemioterapia. Una malattia come il cancro si cura con tante cose. Con la felicità, con il riposo, con la calma, la fiducia, l'amicizia.
Venerdì scorso ho cominciato questa ennesima chemioterapia con un carico di dolore pregresso troppo pesante, e con poche energie fisiche e mentali. Poi ci abbiamo aggiunto un monte di dispiaceri e troppa sofferenza nel corso della settimana. E quando i medici ieri mi hanno detto di tornare oggi a ri-fare il prelievo del sangue perché avevo i globuli bianchi troppo bassi, anche stamattina me lo aspettavo che mi avrebbero rimandato ancora fino a martedì. In sintesi, dopo appena un'infusione di chemioterapia il mio organismo già non è più in grado di farne ancora. E anche se non troverete da nessuna parte che i globuli bianchi crescono come se piovesse solo se mangi una determinata cosa, o se fai una dieta attenta, io credo fermamente che sia così. E che la dieta da seguire durante un regime di chemioterapia sia una attenta miscela di attenzione e di cura verso noi stessi. Più che possiamo. E anche se la stanchezza un po' mi stordisce adesso, penso sinceramente che dovrò utilizzare questi giorni fino a martedì per recuperare forza, fiducia, calma e anche uno schietto buonumore. E poi da martedì in poi tornare a una vita che metta in primo piano la cura e la responsabilità verso la cura: basta dispiaceri, basta lavoro (basta corso di francese, sic, basta corse in metropolitana, ari-sic), basta mangiare pane e salame perché siamo troppo a terra per cucinare. E invece tanto amore tra noi e le bimbette, tanta aloe, un'alimentazione più attenta, tanto sonno ristoratore, tanto sole, tanti libri e tanta pace. Ho la fortuna di potermelo permettere.
E dunque Buona Pasqua a voi, io prometto di rimettermi a lavoro per stare bene.
Delle maratone e di altri dettagli
Con Mr. Clint ci siamo fatti una bella chiaccherata oggi. Per fortuna prima di vederci era arrivato anche il famoso dato mancante dell'altro giorno (ah, però, due giorni ci hanno messo stavolta, vedi?) e dunque lo scenario oggi era completo. Mr. Clint lo ha valutato insieme alla dott.ssa di Milano e io cercherò di riassumervelo così:
– il mio tumore è leggermente cambiato, appena appena, ma appena un po' sì e bisognerà tenerne conto;
– i farmaci a mia disposizione con questa situazione restano però gli stessi, sono sempre pochi e anzi di meno, per cui dobbiamo fare della mia cura un piatto di cucina povera, ovvero, utilizzando quello che c'è;
– quello che c'è è una combinazione di un farmaco a cui ho sempre reagito bene, con un farmaco nuovo che il mio tumore non conosce ancora;
– perderò nuovamente i capelli, ovvero tra un mese al massimo sarò di nuovo glabra e un po' più gonfia per il cortisone, la solita gnocca insomma;
– la "nuova" combinazione chemioterapica comincerà venerdì prossimo;
– prima di cominciare la chemio ho bisogno di fare alcuni esami del sangue e anche una tac per capire se in questi due mesi mi sono beccata altre rogne;
– qui vi voglio in piedi in standing ovation per il coraggio che mi c'è voluto: ho chiesto a Mr. Clint se non sia il caso di mettermi sto benedetto port, e lui che era sempre stato contrario, mi ha detto stavolta di sì. siete in piedi? si? ecco, perché per quanto questa cosa serva comunque a me e a salvare le mie vene, non avete idea di quanto io sia codarda e quanto coraggio ci abbia messo a tirare fuori la domanda;
– ho colto l'occasione per fare qualche altra domanda generale a Mr. Clint sull'idea che si è fatto del mio tumore e per quanto la sua risposta non sia motivo di rilassamento e svacco generale, mi ha confortato l'idea di poter considerare l'andamento della mia malattia più vicino a quello che ci vuole per una maratona che non a una gara di velocità. Meglio. Sono sempre stata una pippa in tutte le gare di atletica da ragazza, ma è sulla velocità che ho subito le peggiori umiliazioni.
Conclusioni: sono molto contenta di ritornare a curarmi, come ogni volta, lo ripeto, la fase di definizione della cura è sfinente, molto più che subire ogni tipo di vessazione chimica. Sono contenta di conoscere una parte di farmaco che andrò a fare. Sono contenta di perdere i capelli, perché mi consentirà di parlare alle bambine, come avevo comunque voglia di fare, mettendo davanti a loro un elemento concreto per capire la situazione generale. Sono contenta di rifare una tac, non ero per niente tranquilla a far passare altri mesi senza sapere cosa succede qua dentro. Sono contenta che stiano per cominciare tre mesi in cui so esattamente cosa devo fare.
Ma soprattutto sono contenta di avere davanti due giorni in cui posso liberare la testa da ogni pensiero e posso sentirmi autorizzata a ogni tipo di vandalico shopping terapeutico, aperitivo alcolico, sfrenato utilizzo del giardino e delle mie bimbe. E quando hai davanti due giorni così, con questa primavera profumata che ti circonda, i tre mesi che verranno dopo, verranno dopo e basta.
Percentuali
La possibilità che il mio tumore sia mutato è approssimativamente del 25%.
La possibilità di beccarsi una bella complicazione da biopsia polmonare per scoprire se il tumore è mutato è del 40% (e infatti, me la sono beccata, come ti sbagli).
Ciononostante, nessuno ha messo in dubbio (io un pochino, da vigliacca, ma solo un pochino) che forse rischiavo più di quanto non avrei potuto ottenere.
No, vai, fai, dai.
E io, vado, faccio, do.
Ci mancherebbe, no?
Ora che stiamo aspettando a giorni gli esiti della biopsia, Obi si fa scappare che dobbiamo dare per scontato che comunque il tumore non sarà mutato, poiché la percentuale era bassa.
Per fortuna la speranza non si misura coi numeri, ma certi percorsi logici mi innervosiscono abbastanza.
E una volta di più ho la certezza che la matematica mi sta proprio sulle palle.
Chicche
Tra le cose che si imparano durante un ricovero, anche se breve, in ospedale, ce ne sono alcune che sono delle vere e proprie chicche da condividere:
1) il palinsesto dei programmi nazionali in tv – mattina, pomeriggio e sera – propone una serie infinita di volte le repliche dell'isola dei famosi, orrendo programma che non avevo mai visto prima. Quando non ripropone le repliche o la diretta dell'isola dei famosi, manda in onda programmi non meglio definiti che ripercorrono ogni sordido dettaglio della cronaca del momento affidandolo in pasto alle opinioni di persone che l'anno prossimo – se gli va bene – faranno parte della nuova edizione dell'isola dei famosi;
2) alcune compagne di stanza d'ospedale, benché bravissime persone, hanno la tendenza a monopolizzare il telecomando con buona pace della vostra wide;
3) alcune compagne di stanza d'ospedale, benché bravissime persone, hanno la tendenza ad addormentarsi con la tv accessa a palla su programmi orrendi, stringendo in una morsa grifagna il telecomando che la povera wide tentava più volte di orientare verso la tv per spegnerla in piena notte, senza successo, perché al momento di spegnere la compagna di stanza etc etc, si svegliava e ringhiava un "molla l'osso" esilarante;
4) la siringa che usano per farti la biopsia polmonare sembra uscita da Frankenstein Jr per quanto è enorme;
5) un infermiere che prima della biopsia ti chiede sarcastico "E allora, come stiamo a paura da 1 a 10?" e che, dopo che hai fatto la biopsia e che ti ha visto la tac con aria severa risponde alla tua domanda: "allora come è andato l'esame?" "ah, l'esame, quello, va bene. E' il resto…" non dovrebbe lavorare nemmeno sull'isola dei famosi;
6) un portantino che ti invita a rimetterti a letto per portarti in giro in ospedale anche se ti senti benissimo e che ti fa: "Ah signò, lascia perde' de fa' la coraggiosa, che nun serve a gnente", probabilmente sull'isola dei famosi c'è già stato;
7) applicare il concetto di magia attimo per attimo al momento in cui ti stanno per ficcare quell'agone sulla schiena è un aiuto straordinario. Ogni volta che mi immaginavo cosa stava per accadermi, mi fermavo a pensare al singolo respiro di quel singolo momento. Frammentando il momento dell'esame in centinaia di attimi-respiro, ho contenuto l'ansia e mi è sembrato passare tutto molto in fretta;
8) applicare la stessa tattica quando nel giro di un quarto d'ora ti entrano in stanza due pischelle specializzande che ti aprono un buco nel petto per infilarci un tubo per attaccare un drenaggio causa pneumotorace e ti ritrovi coperta di sangue è un tantino più complicato;
9) molto del dolore dovuto all'inserimento del drenaggio è stato dovuto al mio irriggidirmi per la paura. nel giro delle due ore successive, come ho smesso di essere terrorizzata da quello che mi avevano fatto (che è niente, per carità, scherziamo, ma vorrei vedere voi), sono riuscita a calmarmi, ho di nuovo applicato la magia e il dolore è scomparso senza aver dovuto mai usare nessun antidolorifico;
10) il rancio di ospedale è fantastico. lo cucinano gli altri;
11) le preghiere in filodiffusione ogni mattina e sera nelle stanze d'ospedale, dopo quattro giorni che sei bloccato a letto, cominciano a sembrarti una consuetudine meno deprecabile;
12) vanity fair è diventata la mia rivista preferita;
13) il concetto di ricovero illumina gli altri della responsabilità di cura verso la me tapina, con il risultato che mia mamma e mia sorella venivano praticamente ogni giorno a trovarmi. e io ne ero molto grata e felice. sì, bello, grazie, ancora;
14) Obi è un vero eroe e un grande papà, alle nanine non sono mancata per niente, si divertivano troppo con lui, quelle fetenti;
15) un'amica che attraversa roma, dopo il lavoro, in un giorno di pioggia battente in motorino per portarti generi di conforto vari tra cui anacardi e acqua tonica per un sano aperitivo insieme e che poi riparte per portarti il marito alla lezione di meditazione, è un raggio di sole e si chiama lepi e come lei non ce ne sono altre;
16) l'ebook reader in situazioni così funziona alla grande. la notte lo mettevo con me sotto le coperte a farmi compagnia, è l'acquisto dell'anno;
17) ci sono anche compagne di stanza tanto carine con cui parlare di libri, di vita, di esperienze per niente facili, con la leggera naturalezza della maturità, e che con i loro mariti ti sembra di conoscerli entrambi da sempre e per sempre;
18) non è più necessario stare in pigiama tutto il tempo, in ospedale, ci sono delle valide alternative che sono meno auto-deprimenti (tute, pantaloni morbidi, larghi e lunghi caldi maglioni, magliettine più o meno gnoccherelle) e consiglio di usarle tutte;
19) quando sei in ospedale hai proprio bisogno e sei veramente molto grata di ogni telefonata e di ogni sms che ti arriva, anche se poi a sera quasi ti fanno male i pollici e le meningi a furia di rispondere;
20) tornare a casa è meraviglioso, una volta di più. A parte per il pranzo e la cena, s'intende, che ora me li devo cucinare da sola.
8 giorni 8
8 giorni di ospedale non sono niente, è vero.
Ma sono un buon assaggio.
Perché chiaramente non potevo limitarmi a farmi piantare una siringa di 40cm40 nella schiena, senza beccarmi anche lo pneumotorace d'ordinanza e il conseguente drenaggio.
Ma oggi è primavera e adesso sono a appena entrata a casa e nella testa non ho niente se non le testoline delle mie bimbe e la voglia di stringermele per 4 ore di seguito. Non le avevo mai lasciate per così tanto tempo…
I risultati arriveranno poi. E anche i piccanti resoconti della mia vigliacca degenza, non temete.
Ieri questo blog compiva due anni e continuo a essere sorpresa e grata di quanto mi aiuti, di quanto il vostro passaggio abbia importanza per me. E dunque poiché un blog compleanno è anche di tutti quelli che sono passati almeno una volta di qua, tantissimi auguri e grazie a tutti voi.
E buona primavera di sole in questi giorni difficili.
Tabù numero 1
Recentemente parlavamo di cosa è un tabu che riusciamo ad esplorare unicamente o grazie alla scrittura qui sul blog. Parlando di quelli che io ritengo siano tabù, legati in qualche modo alla malattia, mi sono però accorta che restano tabù anche qua. E allora sono giorni che medito su una sterzata di coraggio e mi accingo a parlarne. Speriamo di non fare troppi danni.
Tabù nr.1: Il sesso.
Non so per voi, ma per me, dopo tre anni di terapie continuative, alla seconda menopausa indotta, dopo aver perso i capelli due volte e averli visti ricrescere, aver perso peso e averlo ripreso all'eccesso almeno tre volte, districandomi tra vampate notturne e diurne, tra aspirazioni mancate e la realtà della mia bella faccia, tra calo della libido, fatigue, insicurezze e rinunce, tac ricorrenti, ansie da tac ricorrenti, sollievi da tac superate brillantemente, depressioni da tac superate mediocramente, ebbene, diciamo che non ce l'ho una vita sessuale.
Non quella che si merita una donna di 37 anni. Sicuramente non quella a cui avremmo diritto Obi e io.
E no. Sinceramente non penso di dover andare da un terapista sessuale. Francamente, sfido chiunque a tirare su le giarrettiere mentali e mettersi a tubare vogliosa davanti all'uomo che ami, il quale, come ti guarda, una volta su 3 è terrorizzato perché potresti morirgli una volta per tutte tra appena tre mesi. Senza parlare delle normali interruzioni, fatiche e rinunce al sesso dovute al semplice fatto di avere due figlie piccole che chiedono, si ammalano, si presentano di notte per un bicchiere d'acqua, come è normale che sia, e una relazione che dopo alcuni anni, in maniera naturale, non è esattamente bollente.
E non parlo delle difficoltà tecniche. Quelle difficoltà che presenta un corpo di donna in menopausa. Tecniche ripeto. Anche meccaniche se volete. Guardate che è un casino, eh?
Si accettano consigli?
Non lo so se ho bisogno di consigli.
Avrei bisogno, piuttosto, di essere assolta dalla necessità sociale del sesso. Avrei bisogno di non sentirmi in colpa perché non ne ho più nemmeno voglia. Vorrei credere che sono giovane anche così.
Ma la verità è che, se anche sono giovane, non sono sana per niente e il sesso lo dichiara a gran voce. E questa è una cosa di cui mi vergogno tantissimo. Questo è il mio tabù. Questo è quello che mi succede.
Per fortuna, però, ho ancora tanti libri da leggere. E magari tra un po', inventeranno una chemio che offre effetti collaterali sessualmente stimolanti!
I dettagli fanno la differenza
I dettagli fanno la differenza.
Le piccole cose.
Sono giorni che mi giro intorno infastidita da qualcosa. Giro e rigiro e non capisco cos'è.
Poi mi guardo meglio.
Ed ecco cos'è. L'ho capito ieri sera, guardandomi bene, con attenzione, durante l'ennesima seduta di aereosol a Lilla. Mentre tenevo in mano la mascherina.
Una piccola cosa.
Un dettaglio.
Una ferita minuscola su un dito della mano.
Il pollice, per l'esattezza.
Una ferita minuscola, poco più di un puntino, eppure dolorosissima. Situata esattamente in un punto preciso del dito. Esattamente quello.
Può darsi che si rimargini e che mi stia sbagliando.
Ma se così non fosse, lo scorso anno ho dovuto smettere di curarmi per colpa di decine di queste ferite, per il dolore infernale che sono state in grado di procurarmi.
Ed erano tutte partite da un puntino proprio piccolo come questo.
Visto che ultimamente soffro di sindrome da autocensura su questo blog, se qualcuno che mi conosce nella vita reale, legge queste righe, gentilmente, potete fare finta di non averle lette?
Ve ne sarei davvero grata.
Non mi piace si sappia troppo in giro quanto una cosa così piccola possa spaventarmi. Ma stasera rischio di impazzire se non lo dico a qualcuno.
Nessuno
Nessuno ha idea veramente della vita che fa una persona nelle mie condizioni. Nessuno. Chi crede di averne un'idea leggendo qua, si illude. Qui mi descrivo come una personcina molto più equilibrata, matura, ironica, stabile e generosa di quanto non sia in realtà. Le parole servono a questo. Magari prima o poi renderanno più vera la realtà che tentano di descrivere. Ma per il momento siamo lontani anni luce.
Nessuno ha idea degli abissi di frustrazione e della banale meschinità che si prova (che provo, diciamolo) per quelli che sono "normali", o meglio, sani. Nessuno si può immaginare quanto abbia a volte solo voglia di essere compianta e di sentire dei pietosi pat pat sulla testa, di quanti bassi mezzi sono capace di mettere in piedi. Di quanto spesso utilizzi la malattia per mettermi al centro dell'attenzione. Almeno c'è qualcosa per cui valga la pena parlare di me. Con me. Nessuno deve stare lì a tollerare il mio abbrutimento fisico e materiale, intellettuale e umano, magari anche legittimo per via della vita reclusa che faccio, ma sicuramente non piacevole da affiancare. Le bambine che devono subirmi sono fortunatamente piccole ancora. C'è ancora tempo per imparare a capire che una vita con me non è una vita con una madre normale. E se, anche ci fa schifo la normalità, credetemi: quanto sembra affascinante vista da qua!
Nessuno deve subire me, che nascondo dietro al cancro l'inadeguatezza e la paura più inconfessabile, quella di vivere.
Nessuno.
Se non quel poveretto di Obi.
E, credetemi, se Obi sopravvive a me, c'è una buona speranza che io sopravviva al cancro.
Sembro quasi normale
Mi ha guardato di malavoglia tutto il tempo per il suo mal di schiena, non mi ha fatto uno straccio di sorriso, mi ha scucito 30 euro per 5 minuti 5 di lavoro, mi ha fatto subire, in assoluto silenzio, lo sguardo paternalistico delle altre clienti, (ma quello compiaciuto di tutte le sue assistenti, che in questi mesi mi hanno visto passare davanti alla sua porta salutando da sotto ogni tipo di copricapo), non ha mai risposto ai miei ripetuti sguardi felici, anche grati, di donna nuovamente vittoriosa. Ma non ha la minima importanza!
Sapete che ho fatto oggi?
Tornata dall'ospedale sono stata dal parrucchiere per la prima volta dopo 9 mesi.
E, vedeste che bello, sembro quasi normale!