Vabbè avevo scritto un post bellissimo sul rientro a lavoro, ma splinder ha pensato bene di farmelo fuori.
Allora sarò sintetica: sono tornata a lavoro. Nonostante la paura di non farcela, sono riuscita a fare tutto il tragitto bus-metro-cammino senza arrivare devastata. Probabilmente è grazie alla forte motivazione. Ma sicuramente il weekend passato tra meditazione e amore famigliare in cima a una collina in campagna ha la maggior parte del merito. In ogni caso sono qui. Speriamo di farcela a lungo. A chi pensa "che te frega del lavoro, c'hai altro a cui pensare", ricordo che l'altro a cui pensare non è proprio entusiasmante, per cui anche essere qui è una variazione sul tema che spero possa aiutare l'andamento generale.
Speriamo di farcela.
Non vorrei deludere le aspettative di tutti, compresa me.
E chi mi dice che dovrei sbattermene delle aspettative di chi mi vuole bene, ricordo che a chi mi vuole bene ho regalato solo preoccupazione negli ultimi anni, e variare il menù non farebbe male a nessuno. Inclusa me.
Insomma, sono qui. Speriamo di farcela un po'.
Archivi tag: lavoro
Alla larga
Un lutto è un lutto e prende il suo tempo e le sue forme a seconda del tipo di legame che avevamo con la persona che è morta. Non so perché ho questa fortuna, ma in queste notti ho sognato spesso, spessissimo Anna Lisa e le amiche cancer blogger. Evidentemente, anche nel sonno guaritivo mi sono venute incontro le persone che condividono con me il dolore e le paure. So quanto sono fortunata. Mio padre l'ho sognato una volta sola da quando è morto e non so che darei per poterlo sognare ancora, rivederlo almeno lì. Ma non capita mai.
Comunque i miei sono sempre sogni di grande serenità e questo è molto bello. Così piano piano sto meglio. In ogni caso in questo spazio è fondamentale che io possa mettere per iscritto le cose che più mi pesano sulle spalle, ma non crediate che nelle settimane scorse io abbia smesso di prendermi cura di me, della mia famiglia e dei miei amici (come ho potuto). Ieri Nina compiva 7 anni e anche se in maniera più modesta delle passate edizioni abbiamo messo in piedi una bella festicciola con le persone più care. Io ero stanchissima, ma anche abbastanza serena.
La chemio light che sto facendo da 4 settimane sembra avere effetti collaterali ancora contenuti. Poiché si tratta della chemio in pillole che due anni fa mi ha messo in ginocchio, non penso di riuscire ad andare oltre i tre mesi e uno è già passato, ma visto che richiede meno presenze in ospedale, dalla prossima settimana tornerò a lavorare, o almeno ci proverò.
Non prima però di essermi fatta un bel ritiro di meditazione con la persona che ha scritto questo libro. Un libro che consiglio veramente a tutti, o almeno a quelli che hanno voglia veramente di frequentare questo blog, perché qui si parla anche di questo e chi non se la sente, e posso capirlo, può navigare altrove, non voglio offendere la sensibilità di nessuno, ci mancherebbe. Per chi non se la sente, state alla larga da questa montagna. Su questa montagna noi le paure ci piace chiamarle per nome e guardarle negli occhi. Anche se ci fanno paura.
Specie quando ci fanno paura.
Della lentezza e della velocità. Con delle pause in mezzo.
Il controllo trimestrale, che però è diventato bimestrale e mezzo (giusto per non rilassarsi mai troppo), dice quello che ci aspettavamo, ovvero che c'è un modesto aumento delle lesioni polmonari.
E nient'altro. Almeno sembra*.
Comunque la situazione sembrerebbe la solita, dopo tre mesi di stabilizzazione a seguito di una nuova terapia, i 3 mesi successivi la terapia smette di funzionare e la malattia riprende a camminare. Per fortuna lo fa in modo lento. Ma questo significa che adesso dobbiamo trovare una nuova chemioterapia.
Ho fatto presente a Mr. Clint che sono piuttosto stanca. Per qualche strano miracolo tollero bene le varie chemioterapie che ho fatto in questi 4 anni, ma sono pur sempre 4 anni che con pochissime eccezioni, sono continuativamente sotto chemio ogni settimana e questo mi sta generando una fatica psicologica piuttosto pesante. La sensazione che non ne posso più e che scapperei sottobraccio a Vasco Rossi è sempre più frequente. E poiché io detesto Vasco Rossi, è evidente che c'è qualcosa che non va e che ho diritto a una pausa. Mr. Clint ha capito e mi ha assicurato che mi lascerà respirare un po', trovando una qualche formula soft per farmi recuperare forza e determinazione. Così per il momento ho rimandato ancora il rientro a lavoro. E ho rimandato anche a un futuro molto lontano l'eventuale inserimento di un nuovo port e soprattutto l'operazione di chirurgia estetica per riparare lo sbrego che mi hanno fatto sul petto togliendomi il port infetto. Ho potuto riprendere a farmi una doccia intera solo da due settimane e prima che rientro in sala operatoria per un motivo che non sia assolutamente necessario alla sopravvivenza mi devono correre dietro e pure veloce…
*la tac l'ha letta la mentecatta sottopeso che io disprezzo dal più profondo, ma magari l'ha letta bene. Speriamo. Mr. Clint si fida, fidiamoci anche noi…
Periodi buoni
Potrei rallegrarvi con i miei appunti sul TABU' nr.2, ma poiché lì andremo sul pesante (preparatevi), forse oggi che è lunedì, ve lo risparmio.
Potrei raccontarvi dell'orgoglio di me ieri alla manifestazione. Di come sono stata fiera di aver mollato le nane a Obi e aver preso la metro, benché stanchissima e dolorante (piccoli dolori da vecchia, niente di che) e aver manifestato insieme alla mia Lepi felice felice di essere tutti così belli, così brave persone, così tante.
O potrei raccontarvi di sabato, di come ho fatto una ecografia epatica perché Mr.Clint ha deciso che mi sono presa abbastanza radiazioni gratuite a botte di TAC ogni tre mesi e allora, d'ora in poi, dove si può, controlliamo con l'ecografo.
Si. Sono d'accordo. Va bene. Ok.
Solo che si sono sbagliati e mi hanno fatto una richiesta per la sola eco epatica, cioè mi hanno guardato solo il fegato. E la tac di giovedi mi vedrà solo il cranio e i polmoni. Nonostante la mia tendenza a minimizzare le preoccupazioni proprie e altrui, ho il sospetto che tra la mia panza e la mia schiena alberghi qualche altro organo piuttosto importante e sono dovuta andare a puntualizzare che così no, non va bene, non sono per niente tranquilla e che sì, può andare stavolta che i marcatori sembrano stabili, ma la prossima volta l'ecografia deve essere addominale completa. Sai com'è, il pancreas ci mette anche meno di tre mesi a farti secco, e vorrei proprio evitarmi il rischio, visto la vita d'inferno che faccio comunque.
O no?
Sabato mi hanno fatto parecchio arrabbiare, non so se si è capito. Ma mi hanno dato ragione e hanno ammesso lo sbaglio.
Umpf.
Comunque il fegato sta bene. E questa è una prima buona notizia.
Per il resto è stato un buon weekend. Mi sono stancata un po', ma è stato bello. E le nane sono state bravissime. E poi è tornato quell'abbacchio di Cimino (che era scomparso per 5 giorni, e io avevo già fatalisticamente accettato la cosa) e poi sono stata in biblioteca e ho preso un sacco di libri, e poi oggi pomeriggio prendo le prime pagelle di Nina e lei e Lilla stanno crescendo così serene, vivaci, aperte. Insomma, è un buon periodo e aver ripreso a lavorare è una cosa che mi fa bene veramente, sono molto aperta a tutti gli stimoli, e ho la fortuna di un lavoro che davvero ne offre tanti. Ecco, sono serena. E questo a 4 giorni dalla consueta visita alle mie metastasi polmonari è una specie di evento. Dico davvero. Speriamo che duri un pochino.
Tornare a lavorare
Ho preferito aspettare un po' prima di scriverlo, ma sono effettivamente rientrata a lavoro già da una settimana. Certo, per due giorni la settimana sono in ospedale tra emocromi e terapie, ma gli altri tre sono qui in ufficio. E sono felice. Sono felice per tanti motivi. Sono felice per tutti i motivi di cui parla Anna Lisa. Sono felice perché mi piace prendere la metro e gli autobus e vedere le persone, annusare la puzza di umanità, spostarmi senza stress ma con una direzione nel passo. Mi fa sentire uguale agli altri, arrivare a prendere le nane al post-scuola senza attardarmi a parlare di cazzate con le mamme casalinghe sempre presenti invece all'uscita, sempre puntuali, sempre con la merenda giusta, sempre piene di opinioni su tutto: la mensa, la didattica, le gite. Che palle. Bello invece andare a prendere Lilla che dipinge beata al postscuola tutta impiastricciata, e Nina che tiene in braccio un'amichetta mentre ascolta un libro sugli animali. Bello sentirmi uguale alle altre mamme che lavorano. Anche io sono una mamma che lavora. Sono orgogliosa di esserlo. Sono felice di essere come tutti gli altri.
Mi fa anche capire che mi è mancato tanto. Che stare a casa era necessario (non riuscivo a immaginarmi a lavoro fino a poco tempo fa, è innegabile) ma che era anche una privazione. Una delle molte di questa vita da malata.
Perché malata sono e non voglio nascondermelo e la condizione di giovane donna malata è quello che più mi descrive. Con gennaio entro nel quarto anno di terapie continuative.
Ma, allora, sono anche una mamma lavoratrice.
Sapeste quanto sono orgogliosa.
Non è secondario che sono rientrata a lavoro e tutti, tutti, dagli ultimi ai vertici, mi hanno accolto con una gentilezza a cui non erano tenuti. Che apprezzo solo ora, dopo anni di ingratitudine, diciamocelo. Forse è perché se lo possono permettere, forse è perché non gli sono mancata/servita in questo anno di assenza. Ma è gentilezza comunque, sono sorrisi di accoglienza, sono passi verso di me. Ne sono grata, ne sono profondamente e inequivocabilmente grata.
Ho la piena consapevolezza della mia fortuna, ma sono veramente felice di poter fare qualcosa di più per meritarmela.
Adesso ci sono quattro settimane davanti a me prima dei prossimi controlli. E' tutto il tempo che ho prima di sapere se potrò andare avanti.
Speriamo che il corpo tenga la fatica e che non si ammali di troppa umanità. Perché io ho la sensazione che invece mi farà bene. E speriamo che sia così.
Approfondimenti
Il silenzio di cui parlavo poc'anzi non è una punizione, eh? e neanche una scommessa con me stessa (quella la facevo con voi per vedere quanto duro, e infatti…).
Ho voglia di fare un po' di silenzio perché nelle ultime settimane ho avuto la sensazione che scrivere qui, che questo blog fosse diventato un modo – un tantino ossessivo – di sentirmi speciale, mentre il motivo per cui questo posto mi serve, mi fa bene e mi aiuta è invece proprio che mi ricorda che speciale non lo sono per niente e siamo in tanti a percorrere questa strada accidentata. Fare la piccola star del mio microbico mondo non mi sembra molto maturo, ma nemmeno particolarmente utile. E da qui il silenzio.
Inoltre ho intenzione di fare degli esperimenti in questo nuovo anno, tra cui scrivere meno (e magari meglio), meditare di più (concretamente), riprendere a lavorare. Per fare tutto questo mi ci vuole una discreta dose di coraggio, perché mi fa tutto un po' paura, e anche qui, niente di speciale, lo so. Ma per affiancare la paura e andare avanti – lo sapete bene – il fracasso non aiuta. Aiuta il silenzio, la concentrazione, la calma.
…..
o qualche consiglio scaramantico che verrà ben accolto 😉
Buoni propositi
Non so quali siano i vostri, non ho ancora avuto il tempo di farmi un giro dalle vostre parti, ma io ne ho fatto uno in particolare, e spero non sia troppo impopolare…Il mio buono proposito per l'inizio di quest'anno è il silenzio.
Ho bisogno di fare un po' più di silenzio, perché sono stanca di questa me me me che sta sempre a chiaccherare di me me me. Ho un piccolo ego-rigetto che credo possiate capire tutti. Mi viene in aiuto la mole di cose da fare, chemio, befanate, amici danesi che vengono a trovarmi (sì, che meraviglia, come sono fortunata!!), la voglia di rientrare a lavoro, tutta una serie di impegni.
E così per un po' me ne starò in silenzio qui sulla cima della mia montagna, non abbiatevene a male, non c'è niente di personale. Va tutto molto bene, ma se non faccio un po' di silenzio, rischio di non accorgermi nemmeno quanto.
Ne ho bisogno.
Vogliatemi bene lo stesso, io ve ne voglio molto, lo sapete.
ps. e adesso vediamo quanto duro, eh? magari domani sono di nuovo qua a lamentarmi. vabbè, si accettano scommesse…
Effetti collaterali imprevisti
Non so se sia corretto attribuirne la responsabilità alla nuova chemio, ma in queste settimane faccio fatica a parlare, anche a scrivere. Faccio fatica a sentirmi in ordine con la mia vita e con le persone. Mi sento a disagio sempre con tutti. Fatta eccezione per le nanine che sono invece due angiolette. Mi stranisce la mia vita, gli impegni casalinghi o famigliari, i pochi burocratici. Mi stranisce il modo in cui reagisco alle cose. I sogni che faccio (che sogni orribili che ho fatto stanotte). Mi intristisco appena, in maniera invisibile, mi fanno male le vene, ma sono sciocchezze. Non sopporto le tante amenità che accompagnano la routine ospedaliera. Mi infastidiscono troppo. Senza motivo. Perché apparentemente sto bene, i capelli – lentamente – stanno ricrescendo, e anche se ancora sembro un uomo col riporto e sono grassa, tutto sommato, apparentemente, sto bene. La chemio non sembra infastidirmi, non ho nausee e non ho sviluppato, ahimé, l’anoressia che speravo. Leggo tanto e con piacere. Ma comincio a chiedermi se non sia il caso di tornare a lavorare per sentirmi meno a disagio, costantemente. Il cancro, di solito, ti prende a un’età in cui sei pronto a mettere da parte un parte di vita e a cominciarne un’altra. Quando ti prende così giovane, metti tutte le tue energie ad affrontarlo e a superarlo. Ma quando ti prende così giovane e devi viverci, viverci, viverci, una chemioterapia dopo l’altra, un mese dopo l’altro, un anno dopo l’altro. E portare avanti tutta la tua vita come niente fosse. La tua e di chi dipende da te. Separata, mentre lo fai, dalla vita di tutti gli altri. Ecco forse sono un po’ affaticata. Forse questi sono i neri pensieri della giornata di somministrazione (oggi per l’appunto) che passeranno più tardi.
Forse però devo trovare un altro modo di vivere, ho la sensazione sempre più forte di essere in bilico. E che è ora di darmi una spinta da una parte o dall’altra.
Memento
Una delle cose più interessanti della convivenza con una malattia seria è la deformazione del concetto di normalità. Se sei una persona minimamente sana dal punto di vista psicologico, i cambiamenti dovuti alla convivenza con terapie e cure invasive e permanenti entreranno a far parte della nuova normalità. Rifiutarli, o sentirli come altro da sé sarebbe sciocco e controproducente, visto che sono quelli che devono salvarti la pellaccia a fine giornata. La mia è una situazione di allarme perenne. Anche se, fortunatamente, ancora non mi impedisce di vivere una vita quasi normale. Non posso prendere il cancro e buttarlo. No, me lo devo curare. Tutto questo è entrato a far parte della mia normalità.
Come anche il fatto di passare più tempo in malattia che al lavoro, a 36 anni, assunta solo perché disabile. Come il fatto che dormo poco e con difficoltà perché sono in menopausa (e lo sono di nuovo, in meno di due anni) e le vampate mi trascinano, per non parlare del resto. E’ normale essere spesso stanca. E’ normale che non ho più nemmeno lontanamente voglia di fare l’amore. E’ normale che rinuncio facilmente alle uscite con gli amici, perché se poi non riposo abbastanza, il giorno dopo starò uno straccio e le mie energie devono essere conservate gelosamente, per curarmi e per stare con le mie figlie. E’ normale che abbia smesso di sentire tante persone perché la fatica di parlare con gli altri, con chi non vive a stretto contatto con te, è troppa. E così ho rinunciato a tanti legami sociali, divertenti, leggeri, sorridenti. E’ normale che abbia accettato la solitudine delle cure. Quando agli altri pazienti, amici o parenti arrivano con un cornetto in una bustina per l’amico/parente in chemioterapia, io tiro fuori il panino che mi sono preparata da casa. Lo mangio prima di addormentarmi, così quando tornerò a casa non avrò il problema di mangiare, potrò semplicemente andare a dormire e recuperare prima il tempo per stare in forma con Obi e le nane.
E’ questa la mia normalità. Non sapere dove andrò a vivere tra due mesi. Non sapere se posso pensare alle vacanze. Non poter pianificare un weekend fuori con più anticipo di due giorni. Non sapere se stasera la nausea mi tirerà per la giacchetta e sarò costretta ad andare a letto prima senza cena. Non sapere se Obi starà bene questo sabato, se possiamo invitare a cena qualcuno, o è meglio di no, perché magari sta di nuovo a pezzi. Non sapere perché nessuno mi chieda mai di accompagnarmi, di farmi compagnia, di venire a trovarmi nelle lunghe ore d’ospedale, tanto che ho imparato subito a considerare l’ospedale una piccola famiglia così da sentirmi meno abbandonata. Non sapere niente e vivere con grande entusiasmo tutto quello che riesco. Divertendomi anche tanto.
La rapidità con cui si accetta questa nuova normalità dipende in larga misura dall’età, o almeno questo mi sembra dire l’esperienza fatta fino ad ora. Ovvero, paradossalmente, più si è giovani, cioè più si ha da rinunciare, più si accetta a testa china il nuovo stato di cose. L’unica differenza è che la testa non è china in rassegnazione, ma come un ariete, pronta ad affrontare tutto, con discreto coraggio. Mi dispiace per loro, ma le persone anziane questo coraggio non ce l’hanno. Problemi loro. Loro hanno avuto la vita.
Ma c’è una cosa.
La rapidità con cui io ho imparato a convivere con questa nuova normalità (una normalità che comunque è cambiata ogni 3/6 mesi al massimo), non significa, non significa in nessun momento e in nessuna occasione, che io avrei voluto che la mia vita fosse proprio così a 36 anni.
E questo sono un paio di giorni che avevo proprio voglia di scriverlo. Così come memento.
La parrucca: perché no
Molti mi chiedono perché non mi decido a comprare una bella parrucca. Risparmierei un sacco di disagi a chi mi osserva. Anche un po’ di vergogna a mia suocera credo.
Risparmierei un po’ di angoscia a Nina, forse. Ma anche un sacco di risate a Lilla (quella fetente viene e mi scopre la capa pelata per prendermi in giro, la pupazzetta). Oltretutto se lo avessi fatto già due anni fa, avrei fatto anche un buon investimento, visto che mi ritrovo ad averne bisogno ancora così presto.
Mi ero anche scordata che la gente, non tutta è chiaro, ma la gente ti fissa quando vai in giro con una bandana o un cappello perché, e si vede, non hai i capelli. Mi viene di pensare che siano semplicemente maleducati, perché mi fissano proprio, come se avessero visto un marziano. Io, che invece me lo scordo spesso, a volte nemmeno capisco perché i fissano. Poi mi ricordo. E li fisso a mia volta per farli smettere. In qualche modo, buffo, sono imbarazzata per loro. Come se girassero ruttando a bocca aperta. Gli mancano proprio le basi della buona educazione, penso.
I motivi per cui non voglio la parrucca sono tanti. In primo luogo ho difficoltà ad indossare cose posticce, da sempre. In questo rientra anche una mia diffidenza verso il trucco in generale, ma anche i tacchi o i push up. Per dire.
In secondo luogo, non sono poi così sicura che Nina sarebbe meno angosciata dal vedermi indossare capelli finti. Mica è fessa. Anzi.
In terzo luogo, non voglio risparmiare a nessuno la vista della mia bella testolina tonda tonda, che se lo ricordino ogni tanto che cosa sto vivendo. Non crediate, ma le persone, anche quelle più vicine a me (escluse le nane e Obi e gli amici) spesso se lo scordano (mia sorella l’altro giorno: “tanto ora che non lavori, non c’hai niente da fare, no?”). E il fatto che se lo scordino, dovuto, voglio sperare, a una semplice necessità di sopravvivenza, ogni tanto mi irrita. Non dovrebbe importarmi. Ma sono due anni e mezzo che sto in chemioterapia. Magari adesso che mi vedono di nuovo pelata, non dico che capiscano (in fondo, meglio per loro se non lo capiranno mai) ma saperli a disagio per me, ecco, male non può fargli.
L’ultimo motivo è strettamente legato al precedente. E cioè, per strada, fuori, chi non ti conosce, le persone che non ti fissano, me l’ero scordato, ma sono più gentili. La bidella dà una carezza in più alle tue figlie. La commessa ti sorride e ti chiede “lo faccio io il pacchetto?”. Gli impiegati del personale mi accompagnano a un’uscita nascosta perché non ho voglia di vedere altre persone in ufficio e loro “ma certo, ci mancherebbe, ci pensiamo noi”. Sull’autobus non devo sentirmi in colpa se mi siedo. Al bar mi fanno un cappuccino speciale e la segretaria della scuola di tennis di Nina dice alle bambine “come siete belle, ma certo, con una mamma così bella”.
E io sono grata a tutti loro. Perché le persone ti riconoscono il diritto ad essere più vulnerabile, come di fatto sei. Non è che richiedo il pietismo, o ho bisogno dei complimenti della segretaria del tennis. Figuratevi. Ma sono su una strada difficile e le cose belle, i gesti gentili di chiunque sono una risorsa preziosa, che non va sprecata e neanche data per scontata. Sarebbe bello se le persone fossero gentili a prescindere. Voi ed io lo siamo, no? Ma anche così, nella infinita varietà di casini nelle vite di ciascuno di noi, beh, sono molto grata alle persone per la loro gentilezza. E’ una cosa che va a loro onore.
Un ultimissimo motivo, poi, è che non porto la parrucca perché indosso delle fasce fichissime in microfibra, di colori diversi, da abbinare agli abiti, che mi fanno sembrare molto più trendy di quanto sono in realtà. Vi segnalo un link se dovesse essere utile a qualcuno di voi o a qualcuno che conoscete. Li vendono anche in Italia, soprattutto in montagna, ma anche Decathlon ne ha sempre un paio di modelli Quechua e comunque consegnano in tutto il mondo. Si indossano in tanti modi, tra cui anche quelli che servono a noi pelatastre: http://www.buffwear.co.uk/pages/product-info/ways-to-wear.php.
Per tutti questi motivi, anche se ovviamente non ho niente in contrario verso chi indossa la parrucca, io preferisco di no.
Ecco.
E poi, vedeste come sono carina. Potete credermi sulla parola .