Chicche

Tra le cose che si imparano durante un ricovero, anche se breve, in ospedale, ce ne sono alcune che sono delle vere e  proprie chicche da condividere:

1) il palinsesto dei programmi nazionali in tv – mattina, pomeriggio e sera – propone una serie infinita di volte le repliche dell'isola dei famosi, orrendo programma che non avevo mai visto prima. Quando non ripropone le repliche o la diretta dell'isola dei famosi, manda in onda programmi non meglio definiti che ripercorrono ogni sordido dettaglio della cronaca del momento affidandolo in pasto alle opinioni di persone che l'anno prossimo – se gli va bene – faranno parte della nuova edizione dell'isola dei famosi;

2) alcune compagne di stanza d'ospedale, benché bravissime persone, hanno la tendenza a monopolizzare il telecomando con buona pace della vostra wide;

3) alcune compagne di stanza d'ospedale, benché bravissime persone, hanno la tendenza ad addormentarsi con la tv accessa a palla su programmi orrendi, stringendo in una morsa grifagna il telecomando che la povera wide tentava più volte di orientare verso la tv per spegnerla in piena notte, senza successo, perché al momento di spegnere la compagna di stanza etc etc, si svegliava e ringhiava un "molla l'osso" esilarante;

4) la siringa che usano per farti la biopsia polmonare sembra uscita da Frankenstein Jr per quanto è enorme;

5) un infermiere che prima della biopsia ti chiede sarcastico "E allora, come stiamo a paura da 1 a 10?" e che, dopo che hai fatto la biopsia e che ti ha visto la tac con aria severa risponde alla tua domanda: "allora come è andato l'esame?" "ah, l'esame, quello, va bene. E' il resto…" non dovrebbe lavorare nemmeno sull'isola dei famosi;

6) un portantino che ti invita a rimetterti a letto per portarti in giro in ospedale anche se ti senti benissimo e che ti fa: "Ah signò, lascia perde' de fa' la coraggiosa, che nun serve a gnente", probabilmente sull'isola dei famosi c'è già stato;

7) applicare il concetto di magia attimo per attimo al momento in cui ti stanno per ficcare quell'agone sulla schiena è un aiuto straordinario. Ogni volta che mi immaginavo cosa stava per accadermi, mi fermavo a pensare al singolo respiro di quel singolo momento. Frammentando il momento dell'esame in centinaia di attimi-respiro, ho contenuto l'ansia e mi è sembrato passare tutto molto in fretta;

8) applicare la stessa tattica quando nel giro di un quarto d'ora ti entrano in stanza due pischelle specializzande che ti aprono un buco nel petto per infilarci un tubo per attaccare un drenaggio causa pneumotorace e ti ritrovi coperta di sangue è un tantino più complicato;

9) molto del dolore dovuto all'inserimento del drenaggio è stato dovuto al mio irriggidirmi per la paura. nel giro delle due ore successive, come ho smesso di essere terrorizzata da quello che mi avevano fatto (che è niente, per carità, scherziamo, ma vorrei vedere voi), sono riuscita a calmarmi, ho di nuovo applicato la magia e il dolore è scomparso senza aver dovuto mai usare nessun antidolorifico;

10) il rancio di ospedale è fantastico. lo cucinano gli altri;

11) le preghiere in filodiffusione ogni mattina e sera nelle stanze d'ospedale, dopo quattro giorni che sei bloccato a letto, cominciano a sembrarti una consuetudine meno deprecabile;

12) vanity fair è diventata la mia rivista preferita;

13) il concetto di ricovero illumina gli altri della responsabilità di cura verso la me tapina,  con il risultato che mia mamma e mia sorella venivano praticamente ogni giorno a trovarmi. e io ne ero molto grata e felice. sì, bello, grazie, ancora;

14) Obi è un vero eroe e un grande papà, alle nanine non sono mancata per niente, si divertivano troppo con lui, quelle fetenti;

15) un'amica che attraversa roma, dopo il lavoro, in un giorno di pioggia battente in motorino per portarti generi di conforto vari tra cui anacardi e acqua tonica per un sano aperitivo insieme e che poi riparte per portarti il marito alla lezione di meditazione, è un raggio di sole e si chiama lepi e come lei non ce ne sono altre;

16) l'ebook reader in situazioni così funziona alla grande. la notte lo mettevo con me sotto le coperte a farmi compagnia, è l'acquisto dell'anno;

17) ci sono anche compagne di stanza tanto carine con cui parlare di libri, di vita, di esperienze per niente facili, con la leggera naturalezza della maturità, e che con i loro mariti ti sembra di conoscerli entrambi da sempre e per sempre;

18) non è più necessario stare in pigiama tutto il tempo, in ospedale, ci sono delle valide alternative che sono meno auto-deprimenti (tute, pantaloni morbidi, larghi e lunghi caldi maglioni, magliettine più o meno gnoccherelle) e consiglio di usarle tutte;

19) quando sei in ospedale hai proprio bisogno e sei veramente molto grata di ogni telefonata e di ogni sms che ti arriva, anche se poi a sera quasi ti fanno male i pollici e le meningi a furia di rispondere;

20) tornare a casa è meraviglioso, una volta di più. A parte per il pranzo e la cena, s'intende, che ora me li devo cucinare da sola.

Periodi buoni

Potrei rallegrarvi con i miei appunti sul TABU' nr.2, ma poiché lì andremo sul pesante (preparatevi), forse oggi che è lunedì, ve lo risparmio.
Potrei raccontarvi dell'orgoglio di me ieri alla manifestazione. Di come sono stata fiera di aver mollato le nane a Obi e aver preso la metro, benché stanchissima e dolorante (piccoli dolori da vecchia, niente di che) e aver manifestato insieme alla mia Lepi felice felice di essere tutti così belli, così brave persone, così tante.
O potrei raccontarvi di sabato, di come ho fatto una ecografia epatica perché Mr.Clint ha deciso che mi sono presa abbastanza radiazioni gratuite a botte di TAC ogni tre mesi e allora, d'ora in poi, dove si può, controlliamo con l'ecografo.
Si. Sono d'accordo. Va bene. Ok.
Solo che si sono sbagliati e mi hanno fatto una richiesta per la sola eco epatica, cioè mi hanno guardato solo il fegato. E la tac di giovedi mi vedrà solo il cranio e i polmoni. Nonostante la mia tendenza a minimizzare le preoccupazioni proprie e altrui, ho il sospetto che tra la mia panza e la mia schiena alberghi qualche altro organo piuttosto importante e sono dovuta andare a puntualizzare  che così no, non va bene, non sono per niente tranquilla e che sì, può andare stavolta che i marcatori sembrano stabili, ma la prossima volta l'ecografia deve essere addominale completa. Sai com'è, il pancreas ci mette anche meno di tre mesi a farti secco, e vorrei proprio evitarmi il rischio, visto la vita d'inferno che faccio comunque.
O no?
Sabato mi hanno fatto parecchio arrabbiare, non so se si è capito. Ma mi hanno dato ragione e hanno ammesso lo sbaglio.
Umpf.
Comunque il fegato sta bene. E questa è una prima buona notizia.
Per il resto è stato un buon weekend. Mi sono stancata un po', ma è stato bello. E le nane sono state bravissime. E poi è tornato quell'abbacchio di Cimino (che era scomparso per 5 giorni, e io avevo già fatalisticamente accettato la cosa) e poi sono stata in biblioteca e ho preso un sacco di libri, e poi oggi pomeriggio prendo le prime pagelle di Nina e lei e Lilla stanno crescendo così serene, vivaci, aperte. Insomma, è un buon periodo e aver ripreso a lavorare è una cosa che mi fa bene veramente, sono molto aperta a tutti gli stimoli, e ho la fortuna di un lavoro che davvero ne offre tanti. Ecco, sono serena. E questo a 4 giorni dalla consueta visita alle mie metastasi polmonari è una specie di evento. Dico davvero. Speriamo che duri un pochino.

L'erba voglio

Oggi le analisi del sangue mi hanno rimandato. Per la prima volta, domani non potrò fare il taxolo, ma dovrò mettermi in stand by per una settimana. Durante questi 2 mesi e mezzo di chemio non mi era ancora mai capitato, ovvio che dovesse presentarsi a due infusioni dalla fine. Lo prevedevo, per cui non sono né avvilita, né incazzata. Approfitto di questa settimana per riposare un po’, tutto qua.
Ma come scrivevo a una amica, mi è venuta voglia di non rimandare altre cose. Di volere volere volere volere tutto quello che desidero. Senza metterlo da parte come sempre per gli impegni di lavoro, di malattia, di organizzazione, di soldi.
E’ ovvio che uno deve fare i conti con tutto questo, sia in malattia che no. Ma ho pensato di poter fare qui una lista di quello che voglio. Una lista schifosamente egoista e impossibile. Così, almeno per sfogarmi un po’.
Ho deciso di chiamarla lista dell’Erba voglio. Se volete partecipare, l’unica regola è scrivere le 10 cose che vogliamo vogliamo vogliamo, senza riguardo per nessun impedimento di nessuna natura. Ovviamente mi farebbe molto felice leggere le vostre!

Intanto ecco le mie:

1) Voglio andare a New York, mollare le nane alle nonne almeno per una settimana e andare con Obi a New York. Adesso, prima dei prossimi controlli.

2) Voglio andare a trovare animabella e farci un sacco di cantate insieme.

3) Voglio fare una grande festa in giardino da me con tutti gli amici di Nina e Lilla, anche se non è il loro compleanno, nel primo pomeriggio di sole caldo che arriverà, sapendo in partenza che non mi stancherò e che sarà divertente.

4) Voglio prenotare una domenica a pranzo un ristorante che amo, in un posto che adoro, gestito da un amico carissimo, e portarci lepi, lamar, sky, bregrande capo, lulli, animabella e tutte le loro famigliole.

5) Voglio pesare 7 kg di meno. Già da ora.

6) Voglio andare a Copenhagen e passeggiare con Obi, Giuliano e Nini in centro la notte del 5 maggio, pasteggiando a fragole, vino bianco frizzante e gamberetti prima con la mia famiglia danese.

7) Voglio andare a un concerto di Sufjan Stevens.

8) Voglio imparare a suonare uno strumento musicale. Preferibilmente il flauto.

9) Voglio imparare una lingua straniera. Preferibilmente l’arabo, o l’hindi o il cinese.

10) Voglio andare su una  montagna molto alta, la più alta che riesco a raggiungere con i miei mezzi.

Ecco. Buona parte di queste cose sono impossibili. Altre me le sono scordate al momento. Ma alcune potrei anche farcela, non si sa mai.
E voi?

Sono fatta strana

La malattia è un’occasione per concentrarsi su di sé. In alcuni casi anche troppo. Ma in generale è un pretesto per rallentare i ritmi, guardarsi intorno, capire chi/cosa è importante e chi/cosa non lo è. Aiuta anche a capire che tipo di persona si sia nel profondo. Non c’è niente di meglio delle difficoltà per aprire gli occhi sui propri confini (per non chiamarle necessariamente debolezze).
Epperò confesso che da ieri mi sto stretta. Mi soffoco da sola. Non mi sopporto. Non sopporto il mio essere centrata su di me. E il parlarne. Come peraltro sto facendo anche in questo momento.
Credo anche di aver capito quale sia il meccanismo che ha fatto scattare questo sentimento.
Come dicevo ieri, oggi Lepi mi accompagna in ospedale. E’ una cosa che mi fa piacere e che mi aiuta anche concretamente. Obi non ci sarebbe stato e io avrei altrimenti dovuto prendere un taxi, cosa che odio sinceramente.
Ma aver accettato questo aiuto, concretizza il peso che sento di essere per me stessa, e per gli altri. Lo so che è assolutamente scemo. Ma questo mi aiuta a capire che, per quanto mi lagni e mi lamenti della solitudine, forse quella stessa solitudine è quanto mi dà il senso di riuscire a controllare la devastazione. Avere la sensazione di un minimo di controllo sulla propria vita è centrale durante una lunga convivenza con una malattia, credo.
E allora metto il muso ai miei strani meccanismi, carico l’ipod, aspetto che mi citofoni la mia amichetta. Ma sotto sotto ho capito che sono fatta strana, e che devo imparare ancora tanto. A lasciare andare, per esempio. A mollare la presa. A chiedere aiuto davvero e non solo per fare la scena della derelitta abbandonata.
La verità è che nessuno vuole abbandonarmi, sono io che tendo a salire sulle mie torri.
E’ che da lì si vede meglio lontano.
Ma non ci posso passare tutto il tempo, sennò chi me li porta poi i panini?

Appunti sparsi

Nelle attese dei risultati del prelievo, vado in giro e spendo un sacco di soldi in libri. Quasi tutti regali. Questa cosa mi sta lentamente, ma inesorabilmente, rovinando.

I post della scorsa settimana hanno fatto venire talmente tanti sensi di colpa alla lepi che domani vuole venire con me a fare la chemio. Povera. Visto che ci sono, però, posto qui che avrei anche bisogno di un paio di trainer primaverili, numero 40…sai mai…

Mentre andavo a fare colazione dopo il prelievo, davanti a me una mamma doveva affrontare la crisi isterica, di quelle veramente toste, del suo bambino, presumibilmente adottato (lei bianca, lui nero). Mi ha fatto una tale pena, che mi è venuto da piangere dietro i miei occhialoni da vamp. Poi mentre la nonna trascinava questo bimbetto posseduto dai capricci e fuori ogni controllo, la mamma, spingendo il passeggino gridava "Matteo, piantala adesso, siamo venuti fino a qua per vedere il papa, se fai così ce lo perdiamo!".
Ho smesso di piangere poco dopo.

Ho portato un po’ della cioccolata dalla quale sono assediata al Day Hospital. Almeno se la pappano i vecchiacci e ingrassano loro, che anche se c’hanno il diabete, meglio a loro che sui miei fianchi, peraltro già ampiamente provati.

Ho incontrato al DH mio cugino che ha avuto un tumore, fortunatamente rimosso e risolto, 5 anni fa. Ma non è tranquillo perché ha la tosse e allora oggi voleva farsi controllare. In mezz’ora mi ha raccontato tutta una sua serie di cose. E ho capito che della capacità affabulatoria di mia nonna, che l’altro giorno a Pasqua ci ha incantati per ore con i suoi racconti, pure già sentiti, sulla guerra e la Roma degli anni ’40, alla nostra generazione è rimasta una generica capacità di raccontare i propri deliri. Chi più (lui sicuramente, sulla malattia ha scritto anche un romanzo), chi meno (io).

Una cosa triste: le persone che sorridono per strada sono pochissime. Una cosa felice: io sono tra quelle poche.

Sano terrorismo

E così ho deciso di cominciare a fare del sano terrorismo nei confronti delle mie più care amiche che ancora non hanno smesso di fumare.
Io ho smesso 8 anni fa improvvisamente, con una discreta dose di fortuna, dall'oggi al domani. Senza più cedimenti. E anzi, uno dei miei incubi peggiori e ricorrenti è di riprendere una sigaretta in mano senza accorgermene. Penso di essere come un ex alcolizzato. Sono una fumatrice, anche se ho smesso e non ricomincerò mai.
Però poi non sono mai stata una di quelle che rompono se ti accendi una sigaretta in mia presenza. Affari tuoi, ho sempre pensato. Anche a fronte delle ultime vicende. Non ne ho mai fatto un caso personale, nonostante abbia del grottesco che io mi sia ammalata pur avendo smesso e che abbia delle metastasi stronzissime proprio sui polmoni. Ma insomma, mia nonna ha fumato per 70 anni. E si è beccata solo adesso un'enfisema polmonare. Robbetta insomma. Un sacco di gente è morta di cancro ai polmoni senza aver toccato una sigaretta.

Ma di questo me ne fotto.
Quello che mi interessa è che non voglio per nessun motivo dovermi trovare di fronte a lepi senza capelli. Di dovermi preoccupare per lei.
La reginetta delle preoccupazioni altrui devo restare io. Sennò chi mi compiange poi?
Devono, dovete capire, qual è il rischio. E pretendo che le mie migliori amiche questo rischio non lo corrano.
Per cui è guerra aperta.
Me ne fotto se avete paura di ingrassare, se fate una vita merdosa e la sigaretta vi consola. Me ne fotto.
Perché se non avete capito, avere il cancro è una vera rottura di palle. Ora, non guardate me, che il cancro mi ha dato quel certo "non so che", quell'aria interessante, vagamente emo. A voi il cancro starebbe malissimo. Non ve lo posso permettere. A costo di farvi intubare così giusto per vedere che si prova su quelle comode poltroncine in sala somministrazione.
E anche chi passa di qui. Mi dispiace. Ma non ho intenzione di fermarmi. Buttate quella cicca e piantatela. Non lo posso tollerare.
Adesso basta.
Io rischio di crepare, e voi non avete il diritto di farmi stare in pensiero.
Ecco.

Buon Anno

Sono giorni difficilissimi, gli ultimi giorni di un anno bello. Lo scorso anno al brindisi di capodanno, dentro di me ero talmente amareggiata che pensavo "a cosa brindiamo? d’ora in poi i miei anni potranno solo peggiorare".
In questi giorni, sembra sia andata proprio così, perché sto tanto male. Mi fa tanto male tutto e quando si tratta di dolore, lo affronto come la più pecora del gregge, belando lamenti e trascinandomi deproide, dimenticando tutti i giorni buoni per credere stupidamente che siano stati tutti e 365 dei giorni di merda come questi. 
Ma questo anno che è passato è stato un buon anno. Mi ci faceva pensare cinzia, solo che io ho pensato che soprattutto è l’anno di chiusura del decennio più importante della mia vita, quello in cui mi sono innamorata per la vita, mi sono laureata e masterizzata, ho cambiato 5 lavori trovando infine quello che avevo sempre desiderato, ho smesso di fumare, ci siamo sposati, abbiamo fatto 3 traslochi, abbiamo avuto due bimbe meravigliose e ho cominciato a curarmi e ho aperto questo posto.
Ma in questi giorni finali sembro dovermi piegare a guardare più da vicino tutto.
E allora, chi mi sta vicino è la cosa più importante. Come chi viene da lontano anche solo per passare il Natale insieme. Chi mi chiama perché magari non ho risposto a un messaggio e si preoccupa, e vuole sapere come sto. Chi vuole sapere come è andata in ospedale e come sta Obi. Chi mi sta vicino come solo mio marito, le mie nane morbide, ma anche mia madre e mia sorella, a modo loro. Chi passa per questo posto e mi lascia un segno o anche no, ma è passato e ha dato attenzione a un pezzetto di questa mia vita. Chi mi conosce poco, ma ogni tanto mi manda un messaggio perché mi pensa.
Ecco.
Per il resto non ho energie, per gli altri, quelli che non sanno come starti vicino e tu provi a chiamarli sempre tu, ma poi ti rompi le palle, quelli che ti chiedono come puoi organizzarti per andarli a trovare quando tu sei immobilizzata a casa, quelli che ti chiamano solo ogni 3 mesi per sapere come è andato il controllo, così si tranquillizzano e tornano a farsi i cazzi loro. No. Per queste persone non ho più tempo, non ho più energia.
Per cui dichiaro ufficialmente che il 2010 sarà un anno concentrato: dedicato agli amori importanti, alle persone trasparenti, agli amici sinceri, ai libri divertenti, belli e coinvolgenti, a un lavoro forse nuovo, ma sempre a modo mio, a chi mi dedica attenzione come tutti quelli che passano di qui, alla mia famiglia, a chi ha bisogno di me.
Basta perdere tempo.
E a tutti voi auguro la stessa cosa, di saper vivere il vostro tempo nel prossimo anno nel modo migliore che conoscete, facendo meno compromessi, lasciando andare le cose e le persone superflue, lasciando andare le arrabbiature in macchina. Che stiate già là nascosti a fare buoni propositi, anche se magari oggi vi sembrano irrealizzabili. Che passiate molto tempo con chi amate e molto poco con chi dovete.
E vi auguro di trovare tempo perché 
ogni tanto vi invada la calma e sappiate guardare avanti, lontano, con una risata nelle tasche, che è quello che più auguro anche a me stessa. 
Buon anno a tutti!

Viaggio

E’ stato proprio un vero Viaggio con la V maiuscola. Anche se minuscolo nella sua durata. Con Lepi abbiamo ripreso il nostro ritmo di vent’anni fa. E anche se i miei passi erano lenti, affannati e zoppicanti, riuscivamo a metterci in sintonia con le sue pause-mappa. E le nostre idiosincrasie si sono dimostrate le stesse. Non siamo poi così invecchiate, tiè, siamo sempre le stesse due tipe fuori fase che giravano per le autostrade di Rovaniemi senza una meta particolarmente chiara!
Avevamo affittato una piccola e strana casetta madrilena, e a riprova del fatto che il mondo è un buchetto, dopo una mezz’ora di chiacchere ho capito che io e la proprietaria avevamo anche lavorato insieme anni fa. Pensa te! Poco dopo averne preso possesso, con 4 ore di sonno alle spalle, siamo uscite nel sole, con una meravigliosa luce estiva, una cosa mai vista, un cielo limpidissimo…Abbiamo voluto tentare un disperato attacco al Prado convinta che non ce l’avremmo fatta…e invece, frittino, sapessi! neanche mezzo metro di fila, una cosa mai vista. E io ero così felice che battevo le mani come una bambina. Avevo l’anima talmente vogliosa di bellezza che non mi pareva vero.
E che meraviglia! 
Alcuni quadri, che mai avrei immaginato, mi hanno spinta dentro tanto violentemente da farmi piangere  silenziosamente di compassione ed emozione senza riserve. Avranno pensato che ero matta. Lo penso anche io. Ma non mi emozionavo così da tanto tempo!
E poi abbiamo girellato tra negozietti un po’ più poveri dei nostri, ma tanto più colorati, preso lunghi caffè, mangiato enormi fette di cheesecake (non sarà un piatto tipicamente madrileno, ma che roba!!!), mangiato tapas fritte in locali in cui la puzza di pesce era piuttosto ributtante e ci siamo infilate a un paio d’ore dalla chiusura al Reina Sofia. E vabbè. Inutile che stia lì a spiegarvelo, siamo andate solo da Picasso, ma mi basterà per i prossimi vent’anni quello sguardo ancora non sconfitto, ma devastato, e mai e poi mai sconfitto.
Infine, abbiamo cenato in una pulperia e pranzato a base di paella prima di ripartircene lungo questre strade enormi, vastississime, illuminate dal sole e dal freddo. E soprattutto abbiamo chiaccherato, reinstaurato una prossimità che a volte si perde tra nani e compagni. Ed è stato bello. Anche tornare dalle mie bimbe che la prossima volta porterò con me a vedere quei volti dipinti, quelle immagini meravigliose, così da imparare a sognare la bellezza. Sono tornata colma. E molto felice.
E adesso al lavoro: bisogna tirar su l’albero di natale!!

Madrid

Lepi è la mia più vecchia amica. Anche se vecchia fa brutto e lei invece è bellissima…ma insomma, siamo amiche da quando aveva dei deliziosi ponfetti sul sedere e mi insegnava che si poteva essere grassocce, ma pur sempre vere gnocche!
Senza Lepi non avrei scoperto le meraviglie del Viaggio e della solidarietà tra vere sorelle, le profonde indignazioni della politica. Senza di lei sarei una personetta, una figura minore del presepe della mia vita, che so, il calzolaio con il martello in mano e la faccia basita (è tempo di natale, passatemi la metafora)…invece grazie a lei (e agli scazzi con lei) sono diventata grande, sono rimasta piccola. Sempre per restare in metafora, sono diventata quantomeno il bue (la stazza del resto c’è, le corna preferibilmente no ).
Quando è nato il suo primo nano, andai a trovarla (allora viveva a Milano) e lei, la mattina, me lo mise – minuscolo – nel lettone. Io non sapevo nemmeno cosa fosse un nano allora. E invece lui era lì, me lo aveva messo vicino alla faccetta, con la sua tipica generosità, senza paura che lo schiacciassi, che lo tenessi male, che gli facessi caracollare la capoccetta tutta da un lato. Senza apprensione. E lui è diventato una poesia nel mio cuore. Che si rinnova ogni volta che lo sento, anche se solo mi passa la mamma al telefono.
Il suo secondo nano invece è la versione maschile della mia Lilla. E ho detto tutto! Una volta gli abbiamo fatto le foto durante un bagnetto insieme e sembravamo rispettivamente Lepi e io a 2 anni. Due piccoli irrefrenabili tornadi umani! Loro. Noi al confronto a due anni eravamo delle angelesse.
Per quanto riguarda tutta la mia trista vicenda, vi ho già detto come mi sia vicina Lepi, e di quanto io non sappia a volte renderle tanto quanto mi dà…
M
a quest’anno ci siamo fatte venire un’idea geniale come quella che ho avuto quando ho deciso di andare a trovare anima bella a colonia! Quando abbiamo realizzato che ci conosciamo da 20 anni, abbiamo deciso di celebrare questa ricorrenza con una fuga grandiosa, benché minuscola (da giovedi a sabato!!). Una di quelle che ci hanno fatto diventare sorelline per sempre, da arezzo a venezia a viareggio a milano passando per tutta europa, compresa l’odiosa inghilterra, in cui venne a salvarmi dalla disperazione con un mazzo di spinaci!
E allora, dopodomani prenderemo un areo low cost ad un orario improbabile della mattina, partiremo tutte eccitate con gli occhi cisposi, libere dalle nostre rispettive nanaggini, benché con la testa piena di nani organizzati dai padri/babysitter/nonne. E ce ne andremo dove non siamo ancora mai state: a Madrid.
Ci staremo appena il tempo di un paio di musei, un sacco di shopping e una marea di tapas!
E io sono qui che mi sfrego le manine piena di una gioia adolescenziale all’idea che dopodomani a quest’ora saremo già girin girello, lei con la mappa in mano e io con il naso per aria che la seguo.
Che figo, Lepuccia, non vedo l’ora.
Ti amo tanto tanto!

Camminare

Quando ero una ragazzina insicura e piena di complessi, solevo liberarmi dei rari spasimanti con delle passeggiate infinite per la città, camminavo fino a sfiancarli e in genere era sufficiente a lasciarli per strada, senza più argomenti di conversazione.
Più avanti con Lepi e anima bella ce ne siamo andate in giro per l’Europa, e, per risparmiare ogni centesimo, oltre a non mangiare, camminavamo dappertutto. Un autobus o un giro di metro erano proprio un lusso che ci potevamo permettere solo in città enormi come Berlino o Parigi, e solo per brevissimi tratti! 
A Copenhagen poi! Quante passeggiate, quanto lunghe: lungo i canali, con la neve, con i vecchi fidanzati disperanti, con i sogni a fior di labbra, sempre un po’ ubriachi.
E quando ho scoperto che camminare in montagna, la prima volta con brezza e poi con Obi, era una delle cose più belle che avessi mai fatto: come mi  piaceva mettere quel piede dopo l’altro, con la regolarità del respiro che ti porta fino alle nuvole. 
E quando è nata Nina, che i primi mesi gridava come un’ossessa tutto il tempo, quanto ho camminato per Garbatella dove abitavo allora, quante passeggiate! Mi tenevo appena in piedi per la stanchezza, ma lei in giro dormiva beata e allora io giravo con lei, per ore, senza fermarmi mai. E ancora poi con Lilla, che piangeva anche per strada, ma almeno per strada non rischiavo di farci del male.
Insomma camminare mi è sempre piaciuto, ne ho sempre avuto bisogno. Se posso, ancora oggi, non prendo i mezzi, ma vado a piedi, arrivo dappertutto, mi fa felice, mi piace sia con la musica nelle orecchie che mi fa sentire un personaggio epico, sia senza ad ascoltare e guardare le persone.
E però in questi giorni non posso camminare. Le varie piaghette sono diventate così dolorose che devo medicarmi più volte al giorno, ma soprattutto mi rendono impossibile camminare senza dolori molto forti. E allora per il momento dico temporaneamente addio alle mie camminate. Mi siedo più spesso, prendo la macchina per arrivare ovunque, zoppicchio al massimo per andare a prendere il pane e le nane. Poi mi risiedo.
Penso ancora che sia meglio di perdere i capelli o di fare le flebo. Non sono arrabbiata. Piuttosto spero di poter continuare questo tipo di chemio ancora molto a lungo.
Ma non posso camminare, e allora mi siedo.
Concludo con un video che mi ha dedicato la mia amica brezza. Come dicevamo con lei, può sembrare triste, ma per noi le cose tristi a volte sono semplicemente belle. Non posso includerlo, ma potete andarlo a vedere su Youtube se vi va, meglio se a palla. Si tratta di Maybe not di Cat Power.