Un lutto è un lutto e prende il suo tempo e le sue forme a seconda del tipo di legame che avevamo con la persona che è morta. Non so perché ho questa fortuna, ma in queste notti ho sognato spesso, spessissimo Anna Lisa e le amiche cancer blogger. Evidentemente, anche nel sonno guaritivo mi sono venute incontro le persone che condividono con me il dolore e le paure. So quanto sono fortunata. Mio padre l'ho sognato una volta sola da quando è morto e non so che darei per poterlo sognare ancora, rivederlo almeno lì. Ma non capita mai.
Comunque i miei sono sempre sogni di grande serenità e questo è molto bello. Così piano piano sto meglio. In ogni caso in questo spazio è fondamentale che io possa mettere per iscritto le cose che più mi pesano sulle spalle, ma non crediate che nelle settimane scorse io abbia smesso di prendermi cura di me, della mia famiglia e dei miei amici (come ho potuto). Ieri Nina compiva 7 anni e anche se in maniera più modesta delle passate edizioni abbiamo messo in piedi una bella festicciola con le persone più care. Io ero stanchissima, ma anche abbastanza serena.
La chemio light che sto facendo da 4 settimane sembra avere effetti collaterali ancora contenuti. Poiché si tratta della chemio in pillole che due anni fa mi ha messo in ginocchio, non penso di riuscire ad andare oltre i tre mesi e uno è già passato, ma visto che richiede meno presenze in ospedale, dalla prossima settimana tornerò a lavorare, o almeno ci proverò.
Non prima però di essermi fatta un bel ritiro di meditazione con la persona che ha scritto questo libro. Un libro che consiglio veramente a tutti, o almeno a quelli che hanno voglia veramente di frequentare questo blog, perché qui si parla anche di questo e chi non se la sente, e posso capirlo, può navigare altrove, non voglio offendere la sensibilità di nessuno, ci mancherebbe. Per chi non se la sente, state alla larga da questa montagna. Su questa montagna noi le paure ci piace chiamarle per nome e guardarle negli occhi. Anche se ci fanno paura.
Specie quando ci fanno paura.
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Come una funambola
Traccheggiavo, io.
Facevo finta di niente.
Lo avevo ricevuto in mano dall'autrice, con tanto di dedica personalizzata, ma me lo tenevo lì, per dopo.
Per un altro momento.
Per più avanti.
Poi, in questi giorni di intensissima fatica mentale, di ferreo contenimento emotivo, mi ci sono rifugiata dentro, trovando il porto sicuro della comprensione, così come è stato due anni fa quando sono capitata sul suo blog.
Leggendolo ho capito perché non volevo farlo e perché è così bello.
La verità è che non volevo leggerlo questo suo libro, perché vorrei che Giorgia non fosse mai stata malata, e perché voglio che non lo sia mai più. Perché mi viene da piangere ogni volta che riconosco le sofferenze, gli abbattimenti e gli sforzi che ci vogliono ad alzare la testa, nella malattia e nel superamento della malattia. Sono quelli che affronto ogni giorno da tre anni. Ma non sopporto che lo debbano vivere, o che lo abbiano vissuto, quelli a cui voglio bene. Sono egoista. Voglio sta cazzo di malattia tutta per me, che ci volete fare.
Ma Come una funambola è bellissimo, ha quella bellezza discreta della verità e della vita che è fatta di inciampi, di mattine luminose, di capelli che cadono e che ricrescono, di amici che spariscono e di gatte che ci sostengono.
E' bello perché racconta con il semplice scorrere delle pagine che, se non hai paura di avere paura, la vita è un viaggio molto interessante, pieno di persone amabili, pieno di fatiche nobili, di incredibili fortune, e insondabili tristezze. Anche se hai avuto il cancro. Anche se ti è tornato. Anche se devi fare di tutto per non fartelo tornare.
E racconta – e non so in quanti finora lo abbiano saputo fare così bene – che accanto alla chemioterapia, accanto a tutti gli esami diagnostici del caso, quello di cui è fatta la guarigione profonda è l'impegno, a volte per niente facile, di mantenere aperto, vivo, anche polemicamente, il dialogo con il proprio medico, l'impegno a credere che bere l'aloe tutte le mattine può aiutarti (ed è vero che ti aiuta) e che imparare i passi dell'anatra selvatica non solo non può farti male, ma probabilmente ti aiuterà a rimettere in circolo tutto quello che di buono hai sotto le tue di ali naturali.
Ecco, le ali naturali di Giorgia sono molto grandi, e si dispiegano con forza lungo tutto questo bel libro, tanto che alla fine, ti tirano su con loro.
E, benché in equilibrio precario, da lassù si sta molto meglio, datemi retta. Leggetelo.
Ricredersi è bello
Se non avessi la certezza di stare leggendo solo adesso Un altro giro di giostra, penserei di averne seguito pedissequamente le orme nel mio modo di vedere e di raccontare il cancro. Immodestia a parte – e ovvie qualità letterarie a parte – le sue prime 30 pagine potrei averle scritte io. E questo giusto per ricredermi, io che ho sempre considerato Terzani uno che scriveva sciattamente. Mi sta bene. Ma sono ben contenta di ricredermi, perché è bello scoprire che non sono l’unica matta a pensare alle mie cellule impazzite (proprio così, pure Terzani parla delle sue cellule impazzite, proprio come me!), alla malattia come viaggio e a sogni di soste sotto l’Himalaya, oltre a tanto altro che ci accomuna.
Ecco è bello. Bello sentirsi ancora un po’ meno sola.
Intuitismi
Di questi tempi le mie letture, come tutto il resto, vagolano confuse per librerie, sopra un comodino che vacilla per il peso di libri accumulati nei mesi, tra pensieri poco chiari, facilmente incomprensibili.
Dopo la deriva molto profondamente ammmmericana di questi ultimi giorni (il mio Sufjan, Donnie Darko, visioni varie, etc…) ho deciso finalmente di leggermi L’opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers (anche se io lo leggo in inglese, lo faccio sempre).
Bene.
Avrei dovuto intuirlo.
Sapevo che la storia era di due fratelli rimasti orfani in un improvvisato on the road. Ma non avevo proprio riflettuto sul fatto che il romanzo mi avrebbe raccontato nel dettaglio come ci restano, orfani. Ovviamente in ogni romanzo che ho letto negli ultimi due anni c’è sempre qualcuno, al 99%, che crepa di cancro.O forse è più corretto dire che adesso io ci faccio particolarmente caso.
Ma qui è proprio doloroso, descritto nei dettagli… Tra l’altro passando per un episodio per cui sono passata anche io, alla lettera. Cristo santo!
Che poi, intendiamoci, non ho meno voglia di leggerlo il libro per questo motivo. Però devo confessare che questa prima parte è un maledetto calvario. E poi un po’ mi disturba, averlo scelto, proprio adesso, a intuito…
Stessa cosa un mese fa, ho preso questo libro della Allende, La foresta dei pigmei, perché a suo tempo avevo letto le recensioni e sapevo che era un libro per ragazzi (e in quanto tale, inopportunamente ho concluso che fosse innocuo) ma pure lì la premessa è che il protagonista viene mandato con una zia in amazzonia perché la mamma è sotto chemio (tra l’altro questo non lo farebbe nessuna madre, mai, in chemio. Semmai si mette una parrucca e fa finta di niente, ma di certo non manda via i figli. Tsssk, signora Allende, che delusione!).
Insomma, non è che è per caso alla prossima battuta può capitarmi un libro fichissimo e coinvolgente dove tutti campano cent’anni almeno? O sono giovani per sempre?
Tutto questo, tra l’altro, segue un sabato in cui abbiamo visto in sequenza UP piangendo come due fontanelle (meno male che le nane erano troppo prese dai pop corn) e poi, a casa, tutti ancora commossi per quel cartone meraviglioso, ci siamo visti Se mi lasci ti cancello che mi avevano consigliato TUTTE le persone che conosco. Il film si è rivelato talmente angosciante e straniante che Obi si è incazzato da morire e tutta la domenica mi è stato girato di storto. E francamente lo capisco.
Insomma, benché poi ieri abbiamo recuperato serenità, ultimamente ho proprio la sensazione di avere l’intuito scarico e di fare scelte svaganti vagamente inopportune…
Sannucci
Di cancro si muore, maledizione. Me lo scordo sempre o faccio finta che sia un’altra cosa. Ma poi a un certo punto si può anche morire. Come Corrado Sannucci che ha scritto un libro bellissimo e che è morto oggi.
Se fosse possibile manderei tutto il mio affetto, la mia solidarietà alla moglie e alla figlia.
Mi dispiace, mi dispiace moltissimo.
Addio a uno di noi.
Mani sul mio Corpo di Luciana Cohen
Il sottotitolo è Diario di una malata di cancro. Credo che di tutti i libri che ho letto in questi quasi 2 anni sulla malattia, questo è il più vicino a me. Anche se è un libro trovato per caso, lo scorso inverno, poco pubblicizzato, poco noto.
Per la prima volta vi ho ritrovato una donna che non usa la metafora del combattimento, ma del viaggio. E mi ci sono sentita vicina, immediatamente. E’ un diario, ma molto ben scritto, profondo. Vi ho trovato tantissime analogie alla mia personale esperienza, non in termini diagnostici, ma di vissuto. L’unica differenza, direi, è nell’età che abbiamo diversa (credo che l’autrice, al momento della diagnosi, abbia una 50ina d’anni) e nel fatto che se non hai figli piccoli, sotto chemio, puoi riposarti di più, puoi chiuderti un poco di più. Ed è sicuramente una necessità del corpo e dello spirito. Ma del resto avere dei figli piccoli è anche quanto ti dà una forza e un’energia che altrimenti non avresti, e sai che te la darà sempre. Nonostante il sempre per te sia diventato una cosa minuscola. Vorrei trascrivere qui tutte le riflessioni che ho sottolineato nel libro, ma ora che lo riapro, vedo che sono tantissime. E mi viene voglia di rileggerlo. E vorrei aver trovato on line più cose sull’autrice, perché la sento così vicina che mi sembra di aver dialogato con lei dall’inizio. Lo consiglio vivamente. Anche agli operatori.
Metablog
Un blog si apre per tanti motivi. Motivi, ma anche obiettivi, che poi magari cambiano con il tempo.
Il mio motivo per aprire on the widepeak è che credo a una cosa molto semplice, e cioè che il modo in cui racconti la tua storia, costruisce la tua storia e non viceversa. Per semplificare, si può dire (ma immaginatelo con forte accento romano): “la cosa importante è come te la racconti”.
Il mio obiettivo immodesto invece è dare e condividere la mia esperienza se ce ne fosse qualcuno che ne ha bisogno e voglia. Per questo a volte parlo di cose che magari sono passate, o racconto dei libri che potrebbero essere d‘aiuto a chi non li ha letti per scegliere meglio, o scrivo dei miei primi passi lungo questa strada. Sarà che quando ho scoperto i primi blog di giorgia e julia per me è stato un sollievo infinito. Non lo sto neanche ad elaborare, si spiega da solo credo. E’ così.
Ed ecco, avevo voglia di scriverli i miei motivi/obiettivi, perché magari cambieranno con il tempo, chissà, e allora non vorrei scordarmi cosa avevo deciso di portare con me all’inizio di questa strada.
Libri e cancro: Love Life
Di Love Life c’era un estratto su D di Repubblica intorno a settembre 2007. Da settembre a dicembre 2007 io ho raccolto tutta una serie di indizi sulla malattia tra cui anche questo estratto che mi aveva molto colpito. Nei mesi successivi ho continuato a pensarci e se non fosse stato per Giorgia non l’avrei più ritrovato.
Ad ogni modo, degli indizi ne parlo un’altra volta, ma insomma Love Life è la storia di una coppia giovane, di successo, in carriera, in Olanda una decina d’anni fa, con una bimba adorabile piuttosto piccola (circa 1 anno e mezzo, ma forse sono 3, credo di aver rimosso).
Sono una coppia fantastica tranne che il lui (Stijn) tradisce lei (Carmen) in maniera compulsiva e calcistica. Lo fa in maniera leggera e abbastanza discreta. Lei ad ogni modo non se ne accorge mai.
Quello che veramente succede però è che a lei diagnosticano un tumore al seno molto avanzato. Molto avanzato per una diagnosi completamente toppata un anno prima. E da quel momento le chiariscono che dovrà fare chemio, mastectomia, chemio e sicuramente crepare prima di quanto avessero immaginato nella loro vita patinata.
Carmen chiaramente crolla. Le chemio – appena 10 anni fa – erano molto, molto più terribili di adesso e lei sta malissimo. Viene trattata ancora peggio dai medici e dagli infermieri. Non viene informata correttamente. Non si spiega come sia possibile che Stijn, scopate bigame a parte, non si faccia venire ogni tanto un dubbio su come la sua “adorata” moglie potrebbe essere trattata un pochino meglio. Un dubbio che forse poteva farsi venire un anno prima, tra l’altro.
Comunque, nella prima parte del romanzo Stijn racconta l’impatto della malattia sulle loro vite, l’allontanamento degli amici che semplicemente non sanno come comportarsi perché sono limitati, l’operazione e l’orrore (così, proprio) di ritrovarsi accanto una donna tranciata di un seno (ma non le facevano le ricostruzioni in olanda 10 anni fa, porco cane???) e del futuro, e del senso di inadeguatezza che prova chi ti ama quando tu stai soffrendo. Nello specifico Stijn perde il controllo delle sua pratiche bigame ed entra in un loop di scopate, fughe, bugie, sensi di colpa e amore (ma è amore una cosa così?) profondo per Carmen che – intanto – comincia a morire.
Nella seconda parte, Stijn si innamora. Di un’altra tipa. E quest’altro amore lo aiuta a stare vicino a Carmen nella parte finale della sua vita. E questo mi sembra credibile. Quando ami davvero, il bacino del tuo amore si allarga e dentro ci possono essere più persone. Stijn accompagna Carmen alla morte.
In Olanda 10 anni fa non ti facevano la ricostruzione, ma almeno consentivano già di eutanizzarti in maniera dignitosa, seria, accompagnata, delicata.
Questa parte è bellissima.
Carmen muore costruendo i ricordi per la sua bimba e lascia andare il resto. Questa ultima parte, poiché Stijn (che è in parte anche l’autore, il libro è autobiografico) parla meno di sé, è più interessante. Dolorosa sicuramente perché parla delle fasi finali della malattia che sono fatte di corse in ospedale di notte, dolori lancinanti, morfine. Ma parla della morte come luogo del riposo e del lasciare andare la sofferenza e l’attaccamento.
Chiaramente l’ho letto in circa 8 ore, piangendo per le ultime pagine come una fontana. Poi ho nascosto accuratamente il libro per non farlo trovare a Obi.
Oggi mi rendo conto che quello che mi resta più in mente di Love Life è questa incuria assassina che porta alla diagnosi tarda di Carmen, la compulsività di Stijn così uguale a quella di un mio vecchio fidanzato e così uguale alla superficialità di Sky, ma soprattutto l’idea di poter morire con dolcezza.
Quando lessi l’estratto, quando ancora non ero arrivata alla diagnosi, la cosa che mi aveva colpito di più era stata la descrizione dell’orrore di Stijn per la mutilazione di Carmen (quanto lo odio per quello) e il fatto che Carmen cominci a scrivere un diario per la figlia. Forse l’idea di cominciare a scrivere un diario per le mie viene da là.
E poi era un altro indizio. Ma di questo parlo da un’altra parte.
Perché proprio a me
Perché proprio a me di Melania Rizzoli non l’ho letto. Non l’ho letto perché trovo immorale la domanda che gli dà il titolo. La domanda Perché proprio a me, nasconde la successiva "perché non a quello stronzo del vicino, che è single, grasso e sfigato?". E’ immorale. E’ una di quelle cose che se anche arriviamo a pensare tutti, sarebbe bene non andare in giro a vantarsene. Meglio tacere e aspettare che passi la meschinità momentanea. Almeno se non si tratta di persone veramente molto giovani, o bambini, per carità. O persone che hanno il cancro perché abitano o lavorano in posti insalubri e allora uno può anche chiedersi perché non sia venuto a quelli che ne sono responsabili. Ma altrimenti, penso proprio che sia immorale. Che poi io non l’ho mai pensato. Anzi. Io ho pensato subito "Meno male che è venuto a me, e non alle mie figlie/mio marito/mia madre/mia sorella/mio fratello/i miei amici, etc etc". Che è una sciocchezza, perché non è che, siccome è venuto a me, non verrà a loro, ma almeno diciamo che statisticamente ho coperto il tassello della rete dei miei cari, e magari allora…e speriamo che…
Insomma, mi sono rifiutata di leggerlo. Però, però, però. Però, anche se non è altrettanto immorale, trovo piuttosto grave anche giudicare un libro senza averlo letto. Per cui se avete recensioni estemporanee, le raccolgo con piacere.